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Le contraddizioni del Centro-Sinistra


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haahahhahaah :lol:

lo ius lo valutiamo poi?????

inizi già a cambiare le carte in tavola??!!!!!!!!

ecco perchè mai fidarsi degli uomini sposati! ritrattano sempre! tzè!

dobbiamo dare precise garanzie al marito scusa...e cmq non vorrai mica arrivare al matrimonio senza aver 'conosciuto' prima chi godrà di quello ius??Solo nei confronti di Braz dovrai essere assolutamente illibata.....mentre la lungaaaaa contrattazione tra.. ehm.. il resto delle parti avverrà in sedi diverse e anteriormente :60: :60: :60:

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Curvadong e' un apprendista liberale a tutto campo e come tale favorevole ad una flessibilita' non solo nei rapporti di lavoro ma anche nei rapporti con l'altro sesso (adesso Curva di' pure che sono un demagogo e strumentalizzo :60: ).

 

Comunque per arrivare ad un accordo che soddisfi tutti propongo un matrimonio tra me e Lady Marmelade in Romania, con Curvadong invitato

 

Perche' in Romania?

 

Perche' in Romania durante il party dopo il matrimonio c'e' l'usanza di rapire la sposa improvvisamente ad opera di alcuni invitati e il neo marito negozia con i rapitori il "prezzo" per la liberazione.

 

Assicurando in via preventiva a Curva una alta flessibilita' negoziale (che lui da liberale in spe apprezzera') in merito ai modi e ai tempi di rilascio della neosposa, darei a ciascuna una chance, preservando il desiderio di Lady di sposarsi con me all'interno di un codice di comportamenti socialmente accettato

 

Cosi nessuno si sentirebbe in colpa (e dovrebbe sentirsi in colpa) di nulla.

 

Che ne dite? :mago:

Modificato da Brasileiro
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Curvadong e' un apprendista liberale a tutto campo e come tale favorevole ad una flessibilita' non solo nei rapporti di lavoro ma anche nei rapporti con l'altro sesso .
qua i ruoli si ribaltano ...flessibilità e massima disponibilità quindi in entrata e :lol: :lol: meno in uscita :lol: :lol: oppure no..massima e indispensabile rigidità in entrata e direi fisiologica flessibilità in uscita :lol: :lol: ...vabè.
Perche' in Romania durante il party dopo il matrimonio c'e' l'usanza di rapire la sposa improvvisamente ad opera di alcuni invitati e il neo marito negozia con i rapitori il "prezzo" per la liberazione.
ecco perchè si parla di avviamento sociale alla prostituzione.....il marito noleggia la moglie al branco che se la ripassa in tutti i modi possibili. Rotta nei sentimenti e mica solo la poveretta cerca subito la sua rivalsa facendosi pagare per fare indefinitamente quello che doveva essere un gioco rituale arcaico e maschilista.

 

Assicurando in via preventiva a Curva una alta flessibilita' negoziale (che lui da liberale in spe apprezzera') in merito ai modi e ai tempi di rilascio della neosposa, darei a ciascuna una chance, preservando il desiderio di Lady di sposarsi con me all'interno di un codice di comportamenti socialmente accettato

trasversalmente alle clausole contrattuali mi pare davvero di scorgere una mesta elegia in onore alla cornutaggine... :quadrifoglio: :quadrifoglio:

Cosi nessuno si sentirebbe in colpa (e dovrebbe sentirsi in colpa) di nulla.

Che ne dite?  :mago:

si può fare ..soprattutto se la negoziazione del prezzo di rilascio avviene al momento dello stesso!!!!

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Treu

 

Tutti diamo un giudizio negativo su questa legge. Ed aggiungo che rifiuto una continuità con il pacchetto del '97. Primo, allora si introdussero forme di flessibilità molto regolate, con molti paletti e con un ruolo della contrattazione che limitava l'utilizzo della flessibilità. Faccio l'esempio del lavoro interinale. Erano previsti casi specifici e limitati, che non erano da intendere come un passpartout. Invece la legge 30 ha moltiplicato le forme di flessibilità in modo assolutamente negativo, e quindi i rischi di precarietà. Secondo, questa legge non valorizza la regolazione contrattuale, anzi. Favorisce una applicazione unilaterale da parte dell'impresa. Riconosciamo che in certi casi estremi si può usare l'interinale. Altro è ammettere tipi indiscriminati di flessibilità come la somministrazione.

 

Ma con la legge 30 che intendete fare?

 

La logica è sbagliata e quindi va cambiata, in profondità e non dettagli. Ce ne era già abbastanza. Alcune parti come i servizi all'impiego sono in continuità. Non c'è da abolire. La regia, è chiaro, deve restare pubblica.

 

 

 

12 maggio 2006

Lavoro, la via giusta è quella di Biagi (La Stampa)

di Walter Veltroni

 

Ancora oggi - scriveva un anno fa Marina Biagi alla corte di assise di Bologna - ogni volta che varchiamo il portone di casa, il pensiero torna inevitabilmente a quella sera, all'immagine di Marco riverso sotto il portico, alla sua borsa e alla sua bicicletta rovesciate, e il dolore e l'angoscia si risvegliano. Chi lo ha ucciso non solo ha tolto la vita ad un uomo indifeso, ma anche cambiato per sempre le nostre vite, togliendoci serenità e certezze. Senza tuttavia toglierci la fiducia nella giustizia».

 

Marco Biagi, assassinato così, era un intellettuale onesto e un uomo coraggioso: per questo abbiamo voluto intitolargli una via di Roma, dentro un bellissimo parco dove i nomi conservano la memoria di altre vittime del terrorismo omicida. Le sue convinzioni personali e culturali ne facevano un riformista, socialista e cattolico. Ma in primo luogo Biagi era un uomo dello Stato, era al servizio delle istituzioni. Grazie alla sua formazione intellettuale e alla ampiezza delle sue vedute sull'Europa considerava il mercato del lavoro italiano ingessato da regole nate per essere applicate a situazioni ormai molto differenti da quelle attuali, e proponeva la sperimentazione di strade diverse, senza farsi fermare da pregiudizi e ideologismi e seguendo un principio di fondo: la via da percorrere, per lui, non era certo quella del liberismo senza regole. Le riforme dovevano essere portate a termine, così scriveva, «senza negare la specificità del modello sociale europeo, volto a contemperare l'efficienza con la giustizia e la coesione sociale».

 

E' con queste convinzioni di fondo che Marco Biagi ha servito le istituzioni. Ha collaborato, in quest'ultimo decennio, prima con l'allora ministro del Lavoro Tiziano Treu, poi con Romano Prodi e con la Commissione Europea, ed infine con il ministero del Lavoro del governo uscente. Non sentiva questa come un'incoerenza. Credo, piuttosto, sentisse di dover essere ciò che riconosceva nel suo maestro Federico Mancini: non un «giurista del principe» ma un «giurista di progetto», capace cioè di mettere esperienza e idee al servizio non di una persona o di una parte politica, ma di progetti in cui credeva.

 

Il suo era l'approccio di un giurista «senza frontiere», che voleva fossero abbandonati «gli occhiali dell'ideologia e del pregiudizio», e che con questo spirito collaborava con la politica, lavorava nelle istituzioni. Così nacque il «Libro Bianco» sul mercato del lavoro, da attribuire interamente a lui anche più della successiva legge che porta il suo nome e che è frutto di molti e difficili passaggi politici. Quel «Libro Bianco» fu oggetto di critiche da parte sindacale e politica. Biagi ebbe la capacità di dialogare anche con i più forti oppositori, convinto che il confronto avrebbe alla fine contribuito a migliorare il sistema. E io credo che questa sia una verità profonda. Credo che ogni confronto debba andare alla radice dei problemi, senza valutazioni a priori, senza ideologismi, senza agitare la riforma del mercato del lavoro come una bandiera, né da sostenitori, né da detrattori. Credo che Biagi inviterebbe a fare questo, oggi.

 

Del «Libro Bianco» vorrei ricordare la grande parte dedicata alla riforma degli ammortizzatori sociali, in quel documento indistricabilmente connessa alle altre riforme. Perché la flessibilità è un elemento che deriva ormai dalla realtà del mercato del lavoro globalizzato, ma la flessibilità va controllata e regolata, perché non si trasformi in una precarietà dannosa per i lavoratori soprattutto, ma anche per l'intero sistema economico.

 

Il grande obiettivo è quello di una occupazione di qualità, «che concili il grande aspetto della vita umana che è il lavoro con gli altri aspetti ugualmente importanti, la vita familiare, la vita personale». La flessibilità ha contribuito a facilitare l'accesso di tanti xxxxx e ragazze al mondo del lavoro. Ma alla più alta frammentazione dei rapporti di lavoro, alla rinuncia all'idea del posto fisso, devono corrispondere tutele e contrappesi sul piano della continuità previdenziale, della formazione, della solidità delle indennità di disoccupazione, dei servizi che rendono più sicura la vita familiare e personale dei cittadini.

 

Sindaco di Roma

 

ecco qualcosa di socialliberale.

 

"Grazie alla sua formazione intellettuale e alla ampiezza delle sue vedute sull'Europa considerava il mercato del lavoro italiano ingessato da regole nate per essere applicate a situazioni ormai molto differenti da quelle attuali, e proponeva la sperimentazione di strade diverse, senza farsi fermare da pregiudizi e ideologismi e seguendo un principio di fondo: la via da percorrere, per lui, non era certo quella del liberismo senza regole. Le riforme dovevano essere portate a termine, così scriveva, «senza negare la specificità del modello sociale europeo, volto a contemperare l'efficienza con la giustizia e la coesione sociale"

Caro Brasenga..... chi è a sinistra di queste considerazioni, epresse (ma non solo..) da un uomo della sinistra riformista come Veltroni, non può dirsi nè socialdemocratico nè socialliberale.

Modificato da curvadong
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A testimoniare l'equidistanza dell'analisi di Ichino e la sua mancanza di ideologismo e apriorismo.Quello stesso Ichino che spinge argomentando -come da citazioni in- topic- per una seria riforma dell'art.18

 

Pietro Ichino

 

LEGGE BIAGI

I precari? Non sono aumentati

Tra il 2001 e il 2005 stazionaria la quota di contratti a termine Sta sbagliando bersaglio chi mette sotto accusa la legge Biagi.

Chi accusa la legge Biagi di aver aumentato il lavoro precario sbaglia bersaglio: i dati dimostrano che tra il 2001 e il 2005 la quota di contratti a termine sul totale dell'occupazione, aumentata dal 12 al 14% nel corso degli anni '90, è rimasta stazionaria. Forse sono aumentati coloro che restano a lungo «impigliati» nel precariato: la soluzione è nella formazione e nell'orientamento.

Ma le differenze di produttività tra lavoratori sono cresciute e ora i più deboli rischiano di «impigliarsi» nella trappola dell'impiego fuori standard.

 

Qualche giorno fa in un talk-show televisivo abbiamo sentito un autorevole membro del governo uscente affermare che il merito di un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro creati in Italia nel corso dell'ultima legislatura sarebbe della legge Biagi; e abbiamo sentito un autorevole esponente della nuova maggioranza replicare che la legge Biagi sarebbe, piuttosto, la causa principale dell'aumento del lavoro precario. Nessuna delle due affermazioni è seriamente sostenibile, se si ragiona sui dati disponibili.

I dati Istat dicono due cose. La prima è che il forte aumento dell'occupazione complessiva in Italia ha avuto inizio nel 1998, ha raggiunto la sua punta massima del +2,6% nel 2001 ed è poi proseguito dal 2002 al 2005 in modo assai meno marcato; se bastasse (ma non basta) la coincidenza temporale per individuare gli effetti prodotti dalle leggi sull'occupazione, il merito di quell'aumento parrebbe dover essere attribuito al «pacchetto Treu» del 1997 molto più che alla legge Biagi del 2003. La seconda cosa che si trae da quei dati è che la quota dei contratti a termine rispetto al totale dell'occupazione è aumentata — di circa due punti, dal 12% al 14% — nel corso degli anni '90, ma non nel corso dell'ultima legislatura: la riforma del 2001, varata in accordo con Cisl e Uil e respinta dalla Cgil, non ha prodotto per nulla gli effetti di liberalizzazione dei contratti a termine preconizzati allora dal governo Berlusconi.

 

Degli effetti delle leggi dell'ultima legislatura sulle collaborazioni autonome continuative, sostituite dal nuovo «lavoro a progetto», abbiamo già scritto nei giorni scorsi: la materia non è stata certo liberalizzata, ma regolamentata in modo più stringente. Neppure questa forma di lavoro precario ha comunque fatto registrare un'espansione negli ultimi due anni: semmai il contrario. Quanto al «lavoro a chiamata» e al «contratto di inserimento», essi sono stati quasi del tutto ignorati dalle imprese.

La sola conclusione che può trarsi dall'insieme di questi dati è che le misure di politica del lavoro adottate dal governo Berlusconi non hanno prodotto né gli effetti di liberalizzazione del mercato attribuiti loro dal governo stesso, né quelli di precarizazione del lavoro attribuiti loro dall'opposizione. Come per un verso si può escludere che quelle misure abbiano segnato un miglioramento decisivo nelle performances del nostro mercato del lavoro, per altro verso, piaccia o no, si deve escludere che il fenomeno del lavoro precario ne sia stato causato o favorito in modo apprezzabile (alla stessa conclusione arriva, sulla base di dati di fonte in parte diversa, Luca Ricolfi nel suo ultimo libro Tempo scaduto, edito dal Mulino).

 

Resta da chiedersi perché il precariato sia oggi percepito diffusamente come problema più grave rispetto al passato, visto che la statistica non ne conferma un aumento complessivo rilevante. È ben vero che, secondo gli ultimi dati forniti dalla Banca d'Italia, di coloro che sono passati dal non lavoro nel 2004 a un lavoro dipendente o autonomo nel 2005, il 40,5% l'ha trovato nella forma del contratto a termine, del lavoro interinale o del lavoro a progetto: percentuale che era andata lentamente crescendo negli ultimi anni. Ma se la quota complessiva di quei contratti di lavoro precario resta contenuta ben al di sotto del 20% del totale, questo significa che in due casi su tre (se non tre su quattro) essi si trasformano abbastanza rapidamente in lavoro a tempo indeterminato.

 

Il problema è che dei casi in cui il lavoro precario funge effettivamente da canale di accesso al lavoro stabile nessuno parla: quelli che «fanno notizia» sono solo i casi in cui questo non accade, in cui il lavoratore resta impigliato a lungo nella trappola del lavoro precario. Ora, può essere che la quota dei «precari impigliati» rispetto al totale sia aumentata più di quanto sia aumentato complessivamente il lavoro precario; ma se questo è il problema, esso non nasce né dalla legge Treu né dalla legge Biagi: esso nasce invece dall'aumento delle disuguaglianze di produttività tra gli individui nella società postindustriale, cui le imprese reagiscono aumentando le disparità di trattamento. Questo problema può essere affrontato soltanto col rafforzare professionalmente i più deboli, o aiutarli a trovare la collocazione in cui possono rendere di più (ciò per cui una fase di maggiore mobilità all'inizio della carriera lavorativa è indispensabile); mentre aumentare il costo del loro lavoro rischia di condannarli alla disoccupazione.

Ridurre drasticamente la possibilità di lavoro a termine o aumentarne il costo — come si propone ora di fare il nuovo governo — può solo rendere la vita più difficile alla parte più debole dei giovani che si affacciano sul mercato. Non dobbiamo dimenticare che nel 1977, quando l'alternativa era soltanto tra il lavoro stabile e la disoccupazione, il contratto di formazione e lavoro (sostanzialmente un contratto a termine, della durata di uno o due anni, con retribuzione ridotta) venne introdotto per iniziativa del sindacato e delle forze politiche di sinistra, proprio per favorire l'accesso dei giovani. E nell'ultimo ventennio attraverso quella «porta» sono passati ogni anno centinaia di migliaia di xxxxx, dei quali — qui i dati disponibili parlano chiarissimo — più di due terzi hanno visto il contratto a termine trasformarsi, alla sua scadenza, in contratto di lavoro ordinario. Il nuovo governo farà bene a non dimenticare quell'esperienza.

 

Pietro Ichino

26 aprile 2006

 

altro esempio di socialismoliberale, o di socialismo democratico europeo e illuminato.

Modificato da curvadong
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