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La fesseria di + tasse + povertà


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http://www.caffeeuropa.it/libri/108libri-capitolo1.html

 

Ho tratto solo alcuni brani dell'articolo

 

 

[...]

 

Ci staremo pure avviando verso ‘il più moderno dei mondi possibili’, ma le regole di base restano sempre le stesse e non finiscono di premiare chi coltivi con passione la pianta robusta dell’alfabeto. Dopo essere stata il faro della via socialdemocratica al progresso oggi infatti la Svezia è l’Eldorado delle nuove tecnologie: “Champion d’Europe du high tech” riconosce il settimanale francese “L’Express”, “Laboratorio della New Economy” titola “Spiegel”, “Europe’s Internet Capital” annuncia in copertina l’americano “Newsweek”. E le cifre confermano l’improvviso entusiasmo mediatico: la Svezia è infatti il secondo paese al mondo per numero di computer pro capite, il terzo per diffusione di telefoni cellulari, il primo quanto a incidenza degli investimenti in Ricerca e Sviluppo sul totale del prodotto interno lordo; in Svezia ci sono 85 postazioni informatiche ogni 100 colletti bianchi (105 negli Stati Uniti, 46 in Italia), mentre il cosiddetto ‘tasso di investimento in conoscenza’ che calcola spese per l’istruzione e per progetti di Ricerca e Sviluppo è di gran lunga il più alto del mondo.

 

Risultato: dopo anni di crisi che avevano fatto ruzzolare il paese dal terzo al diciottesimo posto nella scala del benessere mondiale, la Svezia viaggia oggi ad un tasso di crescita del 4,5% annuo ed è forse il paese al mondo più pronto a trasformare le nuove tecnologie in nuova, lucrosa economia (come attestano anche indici scrupolosi e fantasiosi come quello che misura la ‘preparazione al futuro delle nazioni’, o quello delle prime dieci ‘IT countries in the world’).

 

Sono dati interessanti, ma non ancora i più interessanti: la Svezia infatti ha usato i lunghi anni di crisi per cambiare il pelo produttivo ma non il proprio, inguaribile vizio socialdemocratico; agli occhi del senso comune il case study macroeconomico più affascinante di questi ultimi anni non può quindi che apparire un controsenso, uno scherzo di natura, una stecca che contraddice l’onnipresente tema liberista in tutte le sue variazioni di destra e di sinistra.

 

 

Perché in Svezia socialdemocrazia si legge ancora esattamente come si scrive, ovvero: le tasse più alte del mondo, una pressione fiscale che supera abbondantemente il 50% del prodotto interno lordo, un governo che non ha alcuna intenzione di cambiare la rotta dal momento che “in futuro - provoca il primo ministro - i paesi a basso carico fiscale saranno costretti ad aumentare le tasse per poter reggere la concorrenza dei paesi che investono molti soldi in istruzione e ricerca”.

 

Sugli svedesi e le tasse andrebbe scritto un romanzo. Al tempo dell’ultimo boom, sul finire degli anni ottanta, a certe condizioni l’aliquota fiscale poteva infatti raggiungere e superare il 100%: non restava quindi che scegliere se impiegare i risparmi per andare in vacanza o per restare in ufficio. Follia certo, cui giustamente si è posto rimedio e che giustamente ha lasciato il campo al buon senso di un’aliquota unica per il reddito d’impresa (28%) che può però raddoppiare e quasi triplicare quando dalle casse dell’azienda i soldi finiscono nelle tasche di dipendenti, dirigenti, imprenditori. E il romanzo continua: il 60% degli svedesi possiede azioni o quote di fondi di investimento. Ovviamente non c’è Borsa al mondo che sia tassata e tartassata come quella svedese: fatta 100 la pressione fiscale sulla Borsa finlandese (seconda in graduatoria) la Svezia arriva a 140, l’Italia a 60, la Germania segue in coda a 20. Eppure il primo ministro svedese rileva che è ora di aggiustare il tiro a favore dei più indigenti, perché “il 20% più benestante della società, anche grazie al corso estremamente positivo del mercato azionario, negli ultimi dieci anni si è arricchito moltissimo”. Tasse per tutti, quindi, tasse come il pane, tasse di un paese che non disdegna la concorrenza, ma non ha mai demonizzato le virtù dell’uguaglianza. Tasse scandalose? Tasse da rapina? Gli svedesi sembrano di tutt’altro avviso, forse anche perché hanno uno stato efficiente come una multinazionale e quando chiedo quanto costi frequentare il Royal Institute of Technology, prestigioso tempio delle tecnologie dell’informazione, la risposta è quasi scandalizzata: “Ovviamente nemmeno una corona”.

[...]

 

E’ la via svedese o meglio la via degli svedesi, perché il contribuente a Stoccolma è cittadino anche quando paga le tasse e se chiedo a Jakob Ehrensvard, testa e cuore di Cypak, una delle aziende hi-tech più quotate del momento, se non sia tentato di trasferirsi in qualche lontano paradiso fiscale, mi risponde serio che no, che “dopo avere tanto approfittato da bambino e studente dello stato sociale, ora è il momento di fare la mia parte e di contribuire a dare le stesse opportunità a chi sta crescendo ora”. Voce isolata? Imprenditore col cuore in mano? Karin Bjurel è un'altra dei tanti protagonisti di questa primavera svedese e, dopo aver lavorato per anni per il gigante americano Cisco Systems, è ora in forze a Effnet Group, che con Cypak e C-Technologies nel ’99 ha fatto incetta dei premi europei per l’innovazione tecnologica: tre svedesi ai primi tre posti. Ebbene, Karin preferisce parlare della sua azienda che del suo paese, mi spiega che in Svezia non è troppo ‘in’ essere patriottici, che si preferisce non sottolineare l’appartenenza nazionale “per non escludere i tanti immigrati che lavorano nel paese”. Eppure le scappa, le scappa così, quasi senza volerlo, il più bel complimento che si possa fare se non ad un popolo, certo ad un sistema sociale: “You don’t have poor people in Sweden…”.

 

 

Chissà se è vero che in Svezia non ci sono i poveri, vero è comunque che nel paese del sole di mezzanotte nessuno è escluso dai frutti di quella pianta robusta cui da sempre lo stato dedica le più amorevoli cure. In Svezia l’alfabeto è davvero un bene che va diviso tra tutti.

 

Da Microsoft a Intel, da Motorola, a IBM, a Oracle, a Hewlett-Packard, sono tanti i colossi statunitensi del chip ad aver traversato l’Oceano per attingere ai tesori di scienza e conoscenza della nuova Svezia: chi si è quindi installato a Lulea, polo universitario a una cinquantina di chilometri dal circolo polare artico, chi nei dintorni industriali di Goeteborg, chi nel Ronneby soft center sulla costa meridionale del paese; chi, e sono tutti, ha comunque messo un piede alla periferia di Stoccolma nel parco scientifico di Kista. Secondo la rivista statunitense ”Wired” nel ’98 questo era il quinto polo tecnologico del mondo; secondo Beril Nyberg, che guida la società di gestione del parco, a due anni di distanza Kista ha ormai risalito quasi tutte le posizioni in classifica.

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è una vergogna qua in italia la ricerca è stata ridimensionata (verso il basso) mentre in svezia è una cosa importantissima, non pagano tasse per università e fanno ricerche avanzatissime mentre in italia paghiamo tasse universitare salate per atenei che fanno ricerca avanzata ma non si sa per quanto rimarrà tale...

 

basti pensare che l'italia è il primo paese per acquisti di telefonini ma non ne produce manco uno e indovinate un pò quali sono i paesi che li producono?quelli che investono in ricerca...

 

l'italia vive ancora per l'inerzia degli anni del boom economico ma la mentalità attuale ci rende soltano "un'albania ricca"...

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Credo che l'articolo si presti anche ad una valutazione generale...le tasse li vengono utilizzate per produrre servizi, e innovazione e a sviluppare quello che fa veramente la differenza, il knowledge capital lo stock di competenze, cultura, esperienze che fanno ognuno di noi migliore o peggiore nel lavoro e nella vita pubblica e privata.

 

Allora se le tasse sono usate in questo modo, non vengono percepite con un senso di oppressione.

 

Ma questo si ricollega all'unico criterio: la civilità di un popolo: se il popolo è civile è ha un senso civico. il sistema socialdemocratico funziona. E' il capovolgimento di quello che diceva Marx: i rapporti economici sono funzione delle idee, convinzioni comportamenti che ogni individuo ha in riferimento a se stesso, alla cerchia delle persone care, e alla comunità.

 

Credo che tutti vorrebbero avere per i propri figli una istruzione di alto livello,meritocratica e gratuita, e sapere che il rapporto tra individuo e comunità è regolata in modo onorevole con un sistema di prelievi e compensi. E' che qualunque individuo, non importa quanto guadagni, posso essere curato in caso di necessità in strutture di ottimo livello o essere assistito in caso di vera necessità. Ma questo presuppone la coscienza di un patto sociale, che deve essere mantenuto con onestà assunta a metodo di vita.

 

Se questo non avviene in altri paesi è per la mancanza di civiltà delle persone A TUTTI I LIVELLI (dai politici all'uomo comune).

 

Io sogno una Italia così, ma sono cosciente che rimarrà solo un sogno.

Modificato da Brasileiro
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Bell'articolo, complimenti Braz.

 

La sintesi è però sempre la stessa.Un paese con un debito pari a quello svedese, e con un welfare efficientissimo, permette di impiegare risorse per finanziare ricerca, sviluppo e istruzione.E una spesa sociale così composta porta a pagare più tasse e più volentieri.

 

Pagare le tasse invece in un paese nel quale la spesa sociale è così altamente e vergognosamente improduttiva e assistenziale nel senso deteriore del termine, non implementa circoli virtuosi di civismo.

 

uno stato deve sempre dar conto di come spende i soldi che gli dai, e quindi deve spenderli bene.A maggior ragione se ne chiede tanti.Questa è una regola, direi la prima, che concorre a gettare le basi del patto sociale di cui parli.

 

se i miei soldi vengono spesi per mantenere strutture burocratiche fini a sè stesse, accordi elettorali e corporativi, ecco che io mi sento intimamente di poter essere 'compreso', anche se mai giustificabile, nel momento in cui pago poche tasse.

 

il primo esempio deve sempre venire dalle istituzioni.

Modificato da curvadong
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