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Profondo Italia


curvadong

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Tutto vero, per esperienza professionale.

Aggiungo pure, che da circa 8 mesi i Giudici di Pace non vengono retribuiti per la loro attività.

L'unico appunto è sul fatto che alcuni sarebbero fannulloni.

Non è così semplice, chi dice questo è perchè non ha mai varcato la soglia di un'aula di udienza.

Un saluto!

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Ciao Cliff...l'unico appunto è..... sul punto fondamentale su cui verte l'articolo!!!Ma è cmq utile e anzi indispensabile ascoltare tutte le opinioni, a maggior ragione se provenienti in questo caso da un addetto ai lavori... ti faccio notare però che chi scrive porta dati precisi di ricerche che hanno statuto di scientificità :fiorellino:

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http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editori...2/rimedio.shtml

 

  Citazione
Il rimedio sbagliato

 

di Pietro Ichino

 

L'emendamento alla Finanziaria che prefigura l'immissione indiscriminata in ruolo di centinaia di migliaia di lavoratori precari del settore pubblico — anche ammesso che si trovino davvero i soldi necessari — rischia di essere un rimedio peggiore del male che si vuole combattere. Da molti anni, ormai, una parte rilevante della funzione pubblica è affidata a lavoratori non di ruolo, assunti in una miriade di forme: trimestralisti, supplenti, «contrattisti», co.co.co., stagisti e altre figure ancora, che si affiancano permanentemente a un personale di ruolo in parte efficientissimo, in altra parte impigrito dalla totale assenza di incentivi, talvolta del tutto inerte o assente. Il male è che ai primi, i paria, si accolli tutto il peso della flessibilità necessaria, che non si può o non si vuole chiedere al personale di ruolo; e che ciononostante essi siano trattati molto peggio, sotto ogni punto di vista.

 

E’ apprezzabile che il governo si proponga di correggere un'ingiustizia e un'incongruenza tanto gravi. Il problema, però, è che correggerle per davvero implica mettere in discussione l'intero sistema dell'amministrazione pubblica; perché, in quel sistema, la precarietà degli uni è l'altra faccia dell'iperprotezione e inamovibilità degli altri.

 

Limitarsi a trasferire gli avventizi dal regime di iperflessibilità a quello di iperprotezione produrrà l'effetto di assimilarli in tutto, anche nei comportamenti, al vecchio personale impiegatizio; e i ruoli pubblici, ancor più sovradimensionati di prima, torneranno a essere inaccessibili per molti anni, creando nuove generazioni di precari e di esclusi.

 

Qualcuno, dalle file della maggioranza, replicherà che il governo si appresta a stipulare entro Natale con le confederazioni sindacalimaggiori un «memorandum» sul rinnovo dei contratti collettivi pubblici, destinato a garantire che d'ora in poi la produttività venga adeguatamente premiata. Per quanto è dato saperne, questo documento segna, in qualche misura, un passo avanti in questa direzione; ma esso non basta certo a voltar pagina incisivamente rispetto a decenni di inerzia dell'apparato statale.

 

Manca del tutto, in questo «memorandum», l'attivazione di organi indipendenti capaci di una valutazione puntuale e credibile dell'efficienza delle strutture pubbliche e degli addetti: senza di quelli, affidarsi a una sorta di verifica concertata con i sindacati è — nel migliore dei casi — un'ingenuità.

 

Manca il principio per cui non si devono valutare solo l'efficienza e la produttività medie di una struttura, ma anche le differenze enormi di rendimento tra gli addetti migliori e i peggiori: passaggio indispensabile se si vuole davvero premiare quelli che lavorano per due e stanare i nullafacenti.

 

Manca un meccanismo credibile di individuazione dei molti casi di grave sovradimensionamento degli organici, da risolvere con i trasferimenti.

 

Manca infine — non ultimo per importanza—il principio di partecipazione e di piena voce della cittadinanza in questa valutazione, che non si garantiscono con le «consultazioni », ma col dare ai ricercatori, alle associazioni degli utenti, ai giornalisti specializzati, l'accesso costante e immediato a tutti i dati di cui dispongono gli organi di valutazione.

 

Questi nuovi principi e strumenti costituiscono l'oggetto essenziale del progetto di legge elaborato da un gruppo di giuristi, di cui abbiamo dato notizia su queste pagine giovedì 7 (Un'Authority per il merito) e che verrà presentato al governo e ai sindacati venerdì prossimo. Dal modo in cui governo e sindacati risponderanno analiticamente, su ciascuno dei punti indicati, si misurerà la serietà del loro impegno riformatore.

12 dicembre 2006

 

Ichino propone da tempo, tra le altre cose, strumenti di maggiore controllo delle strutture statali.Il suo progetto di legge va in questo senso e in quello del potenziamento della c.d. 'democrazia diretta' attraverso cui la popolazione abbia la possibilità di incidere direttamente sulla res publica al di là della rappresentanza parlamentare (una volta che la medesima abbia trasformato quel disegno in legge!!)

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comunque grillo per quanto potesse essere stato di proporzioni epiche lo spettacolo di 10-12 anni fa, ultimamente non lo trovate un po' troppo polemico? Ormai non mi sembra neanche piu' critica o satira, solo martellate e nemmeno tanto ben assestate.

 

ma la cena rimane, ogni scusa e' buona

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Non mi interessa stabilire se Grillo sia un mito vero o fasullo, mi interessa sapere che sul suo sito posso leggere svariate cose che solitamente (e sottolineo solitamente) non trovo sui giornali italiani nè sento dire ai telegiornali...

Modificato da Commissario Bellachioma
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  • 2 weeks later...
  • 2 weeks later...

Leggete, riga per riga con calma di 340 milioni di euro andati 'persi' ai fini della ricerca scientifica Italiana tra il rimpallo di responsabilità varie:

 

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronach...15/stella.shtml

 

 

  Citazione
Tagli del 37% ai Programmi di interesse nazionale Ricerca, quei 340 milioni pronti e mai usati Pochi fondi, ma tra sprechi e ritardi si perdono quelli disponibili. E al Cnr 32 direttori su 107 hanno più di 67 anni

 

 

ROMA - Chi la strangola, la Ricerca? Ecco il nodo, scusate il bisticcio, di quello che è diventato uno dei tormentoni italiani. E c'è chi dice che è tutta colpa della sinistra e chi della destra, chi di Letizia Moratti e chi di Fabio Mussi, chi della penuria di soldi, chi dello spreco di quelli che ci sono. Fatto sta che manca l'impronta digitale del colpevole anche sui due episodi più controversi: il taglio del 37% dei fondi per i cosiddetti Prin e l'evaporazione, diciamo così, di 340 milioni di euro. Una somma enorme, con questi chiari di luna. «Sprecata» per l'indecisione, i contrasti, i tempi eterni della macchina burocratica e politica. Prendete il taglio. Sono anni che si riempiono la bocca con «la ricerca, la ricerca, la ricerca!» e cosa esce dalle tabelle? Che in settori come la matematica o l'ingegneria industriale i finanziamenti sono stati segati del 45%. Che in altri come la fisica, la biologia o la medicina, del 33%. Che il taglio medio è, appunto, del 37%. Con un crollo dei fondi a disposizione: da 130.700.000 a 82.113.000 euro.

Dirà la destra: ecco, la solita sinistra che prima sbandiera la sua dedizione alla cultura e poi va a segare sempre lì, dove accusava di segare noi. Dirà la sinistra: no, la procedura dei Prin (i Programmi di ricerca di interesse nazionale) è tale che di fatto, emesso il bando e avviato l'Iter, tutto finisce per slittare di un anno col risultato che di fatto il taglio del 37% non l'ha deciso Prodi con la finanziaria 2007 ma Berlusconi con quella del 2006. Controreplica: fatto sta che il successore poteva dare un segnale e non l'ha dato, confermando i tagli morattiani. Rissa. Non meno confusa, stando alle due contrapposte fazioni, è l'impronta digitale di chi ha «sprecato», almeno per ora, la bellezza di 340 milioni di euro. Soldi assegnati in due riprese al Miur, il ministero dell'università e della ricerca, dalle Attività Produttive, usando provviste del Fondo aree sottoutilizzate. Il primo pacco di soldi, 260 milioni di euro per «progetti finalizzati al potenziamento dei centri di ricerca e alla promozione dell'alta formazione», era stato stanziato con una delibera del Cipe nel 2003.

Il secondo, 140 milioni per i «distretti tecnologici», era stato deliberato nel 2004. Era però stata data al Miur una scadenza: il denaro andava impiegato entro il 2006. Macché: agli sgoccioli dell'anno appena concluso, risultavano spesi della prima tranche solo 20 milioni e della seconda solo 40. Fatte le somme, erano inutilizzati 240 più 100 milioni di euro. Che il Cipe, con un atto varato il 22 dicembre e passato inosservato agli occhi degli italiani distratti dal Natale, ha «disimpegnato». Cioè ha riposto nelle casse del Tesoro. In attesa di nuovi progetti, nuove scelte politiche, nuovi stanziamenti. E nuove polemiche. La destra, per dire, accusa Mussi e la sinistra d'aver affossato (per ora) l'ambizioso progetto del Ri.Med, l'istituto per le Biotecnologie e la medicina che doveva nascere con 300 milioni, di cui 30 già stanziati nel maggio 2005 dal Cipe, a Carini, vicino a Palermo. A gestirlo sarebbe stata una Fondazione costituita dal governo italiano, dalla Regione siciliana, dal Cnr e dall'Università di Pittsburg. Ateneo americano già attivo nella sanità siciliana attraverso una quota del 45% nell'Ismett, l'Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie di cui sono soci anche l'Azienda di Rilievo Nazionale di Alta specializzazione Ospedaliera (in pratica: Regione Sicilia, col 35%) e l'ospedale Cervello di Palermo (20%). La sinistra (con le voci dissonanti di Umberto Veronesi, Dario Fo o Franca Rame, favorevoli al Ri.Med) risponde chiedendo tempo per un riesame, accusando la destra di aver fatto un'operazione elettorale dato che il progetto fu presentato da Gianfranco Micciché il 4 aprile, all'immediata vigilia delle politiche e ricordando come nella storia ci fossero dettagli che non quadravano. Ma ancora più controverso, forse, è il braccio di ferro sul Cnr. Dove Fabio Pistella, il presidente insediato dalla Moratti nel 2004, è alle prese da mesi con una rivolta dei direttori (o dei facenti funzione) dei 107 istituti. Direttori che Pistella avrebbe voluto almeno in parte (cioè in 89 casi) sostituire dando vita a bandi internazionali. Dicono i «ribelli» che è ora di smetterla coi « manager» digiuni di scienza piazzati alla direzione di organismi delicati quali il Consiglio nazionale delle ricerche e che, per usare le parole del fisico Luciano Pietronero, occorre «trovare una soluzione bipartisan nella scelta dei responsabili degli istituti di ricerca, sennò a ogni cambio di governo c'è un sovvertimento». Rispondono dall'altra parte che quella dei direttori è una trincea corporativa scavata per difendere spesso vecchi baroni legati da una eternità alle loro poltrone. Qualche numero? Su 107 direttori, 32 hanno più di 67 anni (uno ne ha 79), l'età più frequente è 68 anni e solo 14 ne hanno meno di 55. Non bastasse, una trentina sono contemporaneamente (miracolo dell'ubiquità) docenti a tempo pieno in qualche ateneo e direttori a tempo pieno al Cnr. Non bastasse ancora, 59 occupano la loro posizione da più di dieci anni e di questi 29 sono imbullonati da oltre 17 anni, tra cui 16 addirittura da più di 20.

Col risultato di portare forse esperienza, ma certo non quella freschezza che hanno organismi simili all'estero. Tema: chi ha ragione? I vertici che invocano un radicale ricambio generazionale o i direttori che definiscono inaccettabili certi metodi vissuti come un repulisti ordito da burocrati estranei ai problemi della ricerca? Nell'attesa, Fabio Mussi ha deciso di congelare tutto per sei mesi. Prorogando automaticamente gli incarichi (tra cui quello di Franco Prodi, cosa che ha sollevato a destra strilli di indignazione nonostante il fratello del Premier goda di buona fama internazionale) e rinviando i concorsi a data da destinarsi. Tanto più che i «ribelli» avevano presentato una serie di ricorsi al Tar contestando tra l'altro non solo il criterio dell'individuazione d'una terna per ogni posto ma anche il limite massimo per concorrere, fissato a 67 anni. Troppo basso, dicono. E dal loro punto di vista vanno capiti: perché mandare in pensione dei giovanotti solo un po' raggrinziti? Un ricercatore, Paolo Rossi, ha studiato le carriere di tutti i docenti pisani dal 1965 in qua. Bene: dei 744 ordinari, quelli entrati di ruolo nel 1966 avevano mediamente meno di 34 anni, quelli entrati nel 2003 ne avevano oltre 54. E non troppo diversi sono i dati per gli associati e i ricercatori. In pratica, gli ordinari si sono insediati con un'età media più alta di 5 mesi per ogni anno che passava. Avanti così, fra un paio di decenni andranno in cattedra i nonnetti. Dopo di che, si chiede Rossi, come faranno ad accumulare i 20 anni di ruolo per diventare «professori emeriti», se saranno avviati alla pensione subito dopo l'agognata promozione?

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

15 gennaio 2007

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sulla 'finta' lotta di classe raffigurata e cavalcata oggi in Italia.

 

 

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubr...e=&sezione=

 

 

 

  Citazione
Maionese italiana

 

CARLO BASTASIN

 

Forse «la maionese è davvero impazzita», come disse Prodi riferendosi all’Italia «Paese che si disintegra». Ma quando la maionese va male, non è molto utile dar la colpa alle uova.

 

Ieri a Torino il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, è stato contestato da giovani che lo accusavano di collusione «coi padroni» per i suoi progetti di riforma delle pensioni.

 

Senza riforma, come è noto, chi comincia a lavorare adesso ha la speranza di ricevere come pensione, tra quarant’anni, la metà di ciò che riceve un pensionato oggi. Ha senso che i giovani ostacolino la riforma e che dunque protestino contro i propri interessi? Sì, ha perfettamente senso se essi partecipano - come le uova inconsapevoli della maionese - a un «discorso pubblico» in cui è irrilevante la realtà e in cui vale solo lo scontro tra schieramenti ideologici.

 

In un tale «discorso» gli interessi del pensionato di oggi sono ancora contrapposti a quelli dei padroni, come nell’ideologia del conflitto di classe motore della storia, mentre nella realtà entrambi - «padrone» e «pensionato» - stanno sfruttando i pensionati di domani.

 

 

Il finto conflitto di classe sostituisce il contratto tra le generazioni, perché il linguaggio politico di cui viviamo e in cui siamo immersi è fatto di finzioni ereditate dagli Anni Settanta: un mondo dove ci sono i comunisti ma non il comunismo, i fascisti ma non il fascismo, dove si contesta Padoa-Schioppa ma il vero trofeo è la ricorrenza, trentennale non a caso, dei fischi a Lama. I giovani anarchici dei centri sociali, se non violenti, hanno tutto il diritto di essere poco pragmatici.

 

Ma i cuochi, chi rappresenta gli interessi politici di destra o di sinistra e li discute di fronte all’opinione pubblica, questo diritto all’impazzimento non ce l’ha. Poche ore prima, un’altra maionese impazzita: Vicenza uguale Kabul? L’allargamento di una base militare, che non modifica la presenza militare americana nel nostro Paese, può davvero essere equivalente allo scontro tra visioni inconciliabili del mondo: tra un sincero pacifismo e un onesto pragmatismo? Se è così, la sinistra radicale dovrebbe ritirarsi subito dalla coalizione di governo. Romano Prodi infatti ha assunto ieri una posizione molto netta: il sì all’allargamento della base è definitivo.

 

Se Vicenza equivale al bombardamento di Baghdad, la sinistra di Pecoraro Scanio non ha margini: minacciare di non votare il finanziamento della missione in Afghanistan significa, in tale contesto, rinnegare la politica estera del governo. Ma chi può credere che qualcuno si dimetta realmente? Nessuno ha dato un significato politico o strategico alla chiusura della base militare alla Maddalena in Sardegna e forse tra un mese non si parlerà più di Ederle, per la maggior parte dei deputati la politica estera italiana ha un orizzonte geografico che si ferma al Consiglio comunale e un orizzonte temporale che si arresta alle elezioni amministrative di maggio e ogni giorno ha la sua maionese.

 

 

Se alle parole non corrispondono responsabilità, perde senso anche distinguere tra chi è riformista e chi è radicale. Tutta la politica deve urgentemente cambiare linguaggio e misurarsi seriamente sui fatti. Come si può fare politica seriamente - rimediando alle ragionevoli proteste dei cittadini di Vicenza e ai rischi di povertà dei futuri pensionati - in un Paese in cui gli spiriti si indignano, ma solo nell’ora dei telegiornali, e poi vanno a ballare al Bagaglino? Qual è l’incentivo alla politica virtuosa che rimedia ai bisogni dei cittadini e che aiuta i giovani a «prevedere» il proprio futuro?

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