Vai al contenuto

Legge Biagi E Memoria (corta)


curvadong

Messaggi raccomandati

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editori...26/ichin0.shtml

 

per i docenti in falsificazione dati e per i pasdaràn di piazza, di pizza e di gelato.

 

A tre anni dall’approvazione della legge

La vera anima della Biagi

di

Pietro Ichino

 

Fra pochi giorni saranno tre anni esatti da quando è entrata in vigore; e il tempo è galantuomo. Allora maggioranza e opposizione, divise su tutto ma accomunate nell'incapacità di comprendere il contenuto di quegli 86 densi articoli, si fecero reciprocamente sponda nel presentarla come «la grande liberalizzazione » del mercato del lavoro: da una parte per esaltarla, dall'altra per demonizzarla.

 

Oggi i fatti si incaricano di mostrare l'anima laburista di quella legge, che le convenienze e le ottusità politiche bipartisan avevano totalmente occultato; e l'una parte e l'altra ne sono assai imbarazzate.

Il disegno di Marco Biagi era quello di un diritto del lavoro capace di comprendere e regolare tutta la realtà del tessuto produttivo: anche la parte che allo Statuto dei lavoratori del 1970 era ormai da tempo riuscita a sottrarsi. Egli aveva dunque voluto, sì, nella nuova legge alcuni nuovi elementi di flessibilità regolata (e questa è la parte dove la legge ha dato minori risultati);

 

ma aveva anche inteso combattere incisivamente, con un giro di vite severo, proprio la forma più frequente di elusione del diritto del lavoro: l'abuso delle collaborazioni autonome continuative (co.co.co.). Questa è la parte della legge che oggi sta mostrandosi più efficace: un' indagine di Unioncamere conferma la netta diminuzione in atto delle «collaborazioni » nel settore privato. Altro che «grande liberalizzazione»!

 

 

Il caso-pilota, su questo terreno, è quello di Atesia, un grande call centre cui gli ispettori del lavoro nelle settimane scorse, proprio applicando la legge Biagi, hanno intimato di trasformare migliaia di collaboratori autonomi in lavoratori subordinati regolari. La sinistra radicale plaude all'azione incisiva degli ispettori contro il precariato, ma nello stesso tempo insiste per l'abrogazione della legge Biagi. La contraddizione è evidentissima; e, a questo punto, dolosa.

Ha i suoi seri grattacapi anche il ministro del Lavoro Damiano, che considera con preoccupazione quel che potrebbe accadere se, in nome della lotta al precariato, l'applicazione rigorosa della legge Biagi dovesse estendersi a tutte le aziende che abusano delle collaborazioni autonome. E si capisce che sia preoccupato, perché i casi si contano ancora a centinaia di migliaia. Il costo annuo di un lavoratore subordinato regolare si aggira intorno ai 25.000 euro, mentre per la stessa mansione un lavoratore a progetto può costare la metà; il rischio che la regolarizzazione si traduca in una perdita rilevante di occupazione è molto elevato.

 

Proprio la legge Biagi pone dunque la sinistra e il governo di fronte all'alternativa tra combattere per davvero il precariato abusivo, a rischio di mandare a casa molta gente, o chiudere un occhio per evitare sconquassi, lasciando sostanzialmente le cose come stanno.

 

Sarebbe possibile anche una terza opzione: quella di riprendere il discorso su di una riforma profonda del nostro diritto del lavoro e del nostro sistema di relazioni industriali, che li ponga in grado di comprendere e governare efficacemente l'intero tessuto produttivo in tutta la sua complessità e con tutti i suoi interni squilibri: passaggio indispensabile, questo, per un programma serio di riduzione graduale di quegli squilibri.

È questa la parte del disegno originario di Marco Biagi dove davvero la sua legge non ha funzionato bene; ma di questo a sinistra non si parla, perché affrontare questo discorso implica che si mettano in discussione troppe cose nel vecchio sistema.

26 settembre 2006

Link al commento
Condividi su altri siti

http://www.repubblica.it/2006/09/sezioni/s....html?ref=hpsez

 

Il lavoro stabile si allontana. Isfol-Cnel: per gli "under 25" crolla il numero

dei contratti a termine che si trasformano in posti a tempo indeterminato

 

La "gavetta"? Serve sempre meno

Non si assumono i giovani precari

 

 

La stabilità nel lavoro arriva a 38 anni. Interviste a Centra e Dell'Aringa

di FEDERICO PACE

 

 

C'è modo di rendere ancor più piena di ostacoli una strada già molto impervia? A quanto pare sì. Tanto che la via che dovrebbe portare i giovani verso un posto stabile si è andata complicando ancor di più. Fino a qualche anno fa si faceva un po' di gavetta, si accettava un po' di flessibilità, e dopo un paio di anni si poteva ad approdare a qualcosa di certo. Ora però il numero di quelli che riescono nell'impresa è sempre più basso. "Tra il 2003 e il 2005 la quota dei contratti a termine degli 'under' che si è trasformata in contratti a tempo indeterminato - ci ha detto Marco Centra, responsabile Isfol per l'analisi e valutazione delle politiche per l'occupazione (leggi intervista integrale) - è diminuita in maniera preoccupante. Due anni fa era il 40 per cento. Ora invece viene stabilizzato solo il venticinque per cento dei giovani. "Se si guarda ai contratti di collaborazione ci si accorge che la quota degli 'under 25' che riesce a passare a un contratto permanente è pari a un misero undici per cento.

 

Al Sud nel 2005, secondo i dati della ricerca presentata in questi giorni dalla Svimez, un ragazzo su cinque non cerca lavoro e non studia: in tutto 824mila giovani. Lo scorso anno, dicono gli esperti Svimez, il Mezzogiorno ha assistito ad un calo degli occupati tra i 15 e i 34 anni pari a 221mila unità. Tre giovani su quattro hanno visto peggiorare la propria posizione professionale e solo il 19,6 per cento dei giovani è riuscito a vincere la sua personale lotteria: vedere trasformato il contratto atipico in uno a tempo indeterminato.

 

Così, quegli strumenti che dovevano permettere un più agevole accesso del mercato, quegli strumenti che parevano chiedere ai xxxxx e alla ragazze solo qualche sacrificio da sostenere nei primi tempi, dal 2003 hanno preso a tradire le promesse. Tanto che da allora è cresciuta anche la quota degli under 25 che fanno il percorso inverso e, dal lavoro "a tempo", escono per andare nella grigia area degli inattivi o in quella di chi cerca lavoro: nel 2002-2003 erano l'11 per cento ora sono quasi il venti per cento (vedi tabella).

 

 

Ma cosa è successo? Quali sono le ragioni? "Alle imprese - spiega Centra - non conviene più assumere i giovani perché non hanno più gli incentivi economici previsti per il contratto di formazione e lavoro mentre il 'nuovo' apprendistato è praticamente bloccato." Il fenomeno sembra ancora più acuto proprio in uno dei più importanti mercati del lavoro. Nel Nord Ovest le "speranze" dei giovani si scontrano con una realtà quasi paradossale: solo il 26,2 dei contratti dei temporanei si trasforma in contratti stabili mentre succede lo stesso al 33,2% per la media totale (vedi tabella). I giovani ormai paiono condividere lo stesso destino dei loro colleghi più maturi. E la stabilizzazione arriva sempre più tardi: nel 1998 si raggiungeva a 36 anni mentre ora si riesce a conquistarla solo a 38 anni.

 

Il Nord Est sembra essere l'unica area territoriale dove le imprese utilizzano ancora i contratti a termine per avviare i giovani verso un percorso professionale stabile. Qui, negli ultimi anni, la percentuale di conversione per gli "under 25" è stata del 35,1% rispetto al 30,6% del totale dei lavoratori.

 

Anche secondo il rapporto Ocse ("Boosting Jobs and Incomes") i posti a tempo determinato, seppure possono produrre benefici effetti sul mercato del lavoro, rischiano di intrappolare certi lavoratori in situazioni di impieghi instabili con retribuzioni incerte. In media la penalizzazione retributiva è nei paesi dell'Unione europea pari al 15% (si va dal 6% in Danimarca al 24% in Olanda).

 

Cosa fare allora? "Bisogna puntare sul rilancio dell'apprendistato - ci ha detto l'economista Carlo Dell'Aringa (leggi l'intervista integrale) - Nel momento in cui Regioni, sindacati e parti sociali si metteranno d'accordo, questo istituto sarà molto utilizzato e la stabilizzazione tornerà ai livelli di prima. Se non esiste un contratto del genere le imprese ne approfittano e tengono un atteggiamento di eccessiva attesa nei confronti dei giovani. Non va bene però lasciare le nuove generazioni a macerare. Non va bene dal punto di vista sociale e non risponde nemmeno a esigenze forti delle aziende".

 

(20 settembre 2006)

Modificato da Brasileiro
Link al commento
Condividi su altri siti

C'è modo di rendere ancor più piena di ostacoli una strada già molto impervia? A quanto pare sì. Tanto che la via che dovrebbe portare i giovani verso un posto stabile si è andata complicando ancor di più. Fino a qualche anno fa si faceva un po' di gavetta, si accettava un po' di flessibilità, e dopo un paio di anni si poteva ad approdare a qualcosa di certo.

al di là del giudizio di merito questo è davvero spettacolare:

per anni abbiamo letto su repubblica che la flessibilità imposta ex abrupto fosse il peggiore dei mali ( quella dei co.co.co introdotta da Treu e condannata ovviamente solo Berlusconi reggente!!) e adesso per presentare uno studio che peraltro non fa che confermare l'articolo di Ichino ecco che viene fuori la rappresentazione per cui "...Fino a qualche anno fa si faceva un po' di gavetta, si accettava un po' di flessibilità.." non ho parole.... sono commosso.

Ora però il numero di quelli che riescono nell'impresa è sempre più basso. "Tra il 2003 e il 2005 la quota dei contratti a termine degli 'under' che si è trasformata in contratti a tempo indeterminato - ci ha detto Marco Centra, responsabile Isfol per l'analisi e valutazione delle politiche per l'occupazione (leggi intervista integrale) - è diminuita in maniera preoccupante. Due anni fa era il 40 per cento. Ora invece viene stabilizzato solo il venticinque per cento dei giovani. "Se si guarda ai contratti di collaborazione ci si accorge che la quota degli 'under 25' che riesce a passare a un contratto permanente è pari a un misero undici per cento.

si parla delle percentuali dei trasformati ma non dei numeri reali.Appare ovvio che se la legge Biagi rende meno conveniente assumere gente sottopagandola e sfruttandola sine die, non solo diminuirà il numero di contratti co.co.co. , ma anche la loro trasformazione in 'indeterminati' per il semplice motivo che quel contratto permetteva alle aziende quella certa elasticità richiesta e adesso venuta meno, in attesa dell'entrata a regime di tutte le nuove forme contrattuali possibili messe a disposizione dalla stessa legge.

 

 

Così, quegli strumenti che dovevano permettere un più agevole accesso del mercato, quegli strumenti che parevano chiedere ai xxxxx e alla ragazze solo qualche sacrificio da sostenere nei primi tempi, dal 2003 hanno preso a tradire le promesse. Tanto che da allora è cresciuta anche la quota degli under 25 che fanno il percorso inverso e, dal lavoro "a tempo", escono per andare nella grigia area degli inattivi o in quella di chi cerca lavoro: nel 2002-2003 erano l'11 per cento ora sono quasi il venti per cento (vedi tabella).

vedi sopra...si finge di non sapere che quella stessa flessibilità adesso rimpianta e prima condannata, è diminuita proprio per l'entrata a regime di quella legge che all'epoca veniva combattuta come precarizzante!!!!!

 

Ma cosa è successo? Quali sono le ragioni? "Alle imprese - spiega Centra - non conviene più assumere i giovani perché non hanno più gli incentivi economici previsti per il contratto di formazione e lavoro mentre il 'nuovo' apprendistato è praticamente bloccato." Il fenomeno sembra ancora più acuto proprio in uno dei più importanti mercati del lavoro. Nel Nord Ovest le "speranze" dei giovani si scontrano con una realtà quasi paradossale: solo il 26,2 dei contratti dei temporanei si trasforma in contratti stabili mentre succede lo stesso al 33,2% per la media totale (vedi tabella). I giovani ormai paiono condividere lo stesso destino dei loro colleghi più maturi. E la stabilizzazione arriva sempre più tardi: nel 1998 si raggiungeva a 36 anni mentre ora si riesce a conquistarla solo a 38 anni.

questo è un pezzo di teatro che ha del sublime.....prima dell'entrata in vigore della legge si sarebbe scritto: "...bisogna approntare strumenti normativi per i quali alle imprese (- spiega Centra -) non convenga più assumere i giovani con contratti di flessibilizzazione selvaggia.."

 

Anche secondo il rapporto Ocse ("Boosting Jobs and Incomes") i posti a tempo determinato, seppure possono produrre benefici effetti sul mercato del lavoro, rischiano di intrappolare certi lavoratori in situazioni di impieghi instabili con retribuzioni incerte. In media la penalizzazione retributiva è nei paesi dell'Unione europea pari al 15% (si va dal 6% in Danimarca al 24% in Olanda).

fenomenale anche questa...dopo 3 paragrafi di sottolineatura sulla improvvisa e drammatica mancanza di flessibilità si cita un rapporto dell'OCSE che dice che sì i posti a termine possono servire ma rischiano di diventare un vincolo permanente all'instabilità!!!!!!

 

...articolo davvero emblematico di cosa sia il quotidiano "La repubblica". :)

Link al commento
Condividi su altri siti

Curva, scusa, da addetto ai lavori posso confutare il fatto che le prime co.co.co siano state introdotte da Treu.

Non è così.

C'è una norma del codice di procedura civile, introdotta nel 1973, che afferma che le controversie di lavoro derivanti da "altre collaborazioni che so concretino in una prestazione d'opera coordinata e continuativa..." sono di competenza funzionale del Giudice del lavoro.

il cd. pacchetto Treu ha introdotto una crepa nel principio che il normale contratto di lavoro era quello a tempo indeterminato, ammettendo la liceità del lavoro cd. "interinale" (oggi sostituito dalla legge 276/2003, cd. legge di attuazione della Legge Biagi con la "somministrazione di lavoro"), ed altre cose, ma le collaborazione c'erano anche prima.

Il punto era che era facile dissimulare con il contratto di collaborazione il rapporto di lavoro subordinato, più costoso per il datore (vedi contributi previdenziali), ma certamente più appetibile da parte del lavoratore.

Secondo me, la strada da perseguire è rendere meno appetibile per le imprese i contratti cd. flessibili", aumentando i carichi previdenziali e allo stesso tempo diminuendoli per il rapporto a tempo indeterminato.

Questo chiaramente, in un'ottica di salvaguardia del lavoro.

Se un rapporto di lavoro si configura secondo gli schemi del rapporto di tipo subordinato - in poche parole, perchè c'è un rapporto gerarchico, c'è un orario di lavoro da seguire, c'è un potere discipilnare - allora il contratto è di tipo subordinato. Senza se e senza ma.

Un saluto!

Link al commento
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra comunità. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi Subito

Sei già registrato? Accedi da qui.

Accedi Adesso
×
×
  • Crea Nuovo...