curvadong Inviato: 7 Aprile 2007 Segnala Share Inviato: 7 Aprile 2007 (modificato) nel senso di progressista e asciuttamente laica.Al di là del coro di dissenso che un fatto del genere fisiologicamente si trascina detro. http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronach..._embrioni.shtml Citazione Si può scegliere il colore degli occhiBarcellona, 6.600 euro per un embrione Nella clinica per la fecondazione eterologa. Un colloquio, poi l'impianto. I farmaci per la donatrice si portano dall'Italia BARCELLONA — L'embrione si ordina su Internet. In cinque minuti. Il tempo di cliccare tre volte sul sito della clinica Eugin, uno degli istituti di Barcellona più frequentati dagli italiani dopo l'approvazione della legge 40 sulla procreazione assistita. «Sono una donna che desidera un figlio ma non ho un compagno». «Soffro di insufficienza ovarica». La diagnosi è in tempo reale. «In base al profilo appena selezionato la clinica Eugin le consiglia: fecondazione in vitro con ovuli della donatrice e seme della banca». La tappa successiva è la compilazione di un modulo con i dati personali. Il preventivo arriva dopo un secondo nella posta elettronica: 5.100 euro se l'aspirante mamma si impegna a portare dall'Italia i farmaci per la donatrice, magari facendoseli prescrivere dal Servizio sanitario nazionale, altrimenti il costo sale a 6.600 euro, più altri 1.500 per il congelamento degli embrioni in eccesso e il possibile secondo tentativo. All'email sono allegati anche i due moduli per selezionare il donatore e la donatrice: taglia, peso, colore della pelle e degli occhi. La mattina dopo il telefono squilla e una gentilissima voce italiana ti chiede quando vuoi fissare l'appuntamento. Se hai le analisi pronte (emocromo, ecografia pelvica, pap test e prove epatiche) l'attesa è minima. La visita è fissata dopo una settimana alle 16. Costo 300 euro che verranno poi scalati dal preventivo. «Mi raccomando — spiega la segretaria — porti una foto». La clinica Eugin è nella zona commerciale di Barcellona, al confine con il quartiere Sarrià-Sant Gervasi, dove hanno sede tutti gli altri centri per la fecondazione artificiale. L'arredamento è ipermoderno ma essenziale. PRIVACY APPROSSIMATIVA - Quando passi la porta sembra di entrare in un acquario. Tutto è in vetro: le pareti, le porte, persino il bancone delle segretarie. La saletta d'attesa è popolata da un'altra donna sola e da una coppia. Sguardi nel vuoto o impegnati nella lettura di un giornale. L'imbarazzo è forte. Il silenzio viene interrotto dall'arrivo di una hostess: «I signori Brambilla? Siete qui per la Fivet con ovodonazione? Mi date le analisi?». Alla faccia della privacy. Gli italiani se ne vanno, un po' mesti. Rimane la signora francese. Sicuramente non giovane. Chissà se anche lei è qui per comprare un embrione. Arriva un'altra hostess. Questa volta francese. E la donna sparisce. La chiamano prima visita ma è un misero colloquio. La dottoressa è una ragazza bruna dagli occhi strabuzzati che ti stringe la mano senza nemmeno dire il suo nome. È spagnola ma è scortata da un'interprete italiana. Fa la solita anamnesi: peso, altezza, precedenti tentativi di fecondazione artificiale. Scorre con distrazione gli esami (alcuni sono falsi). Scuote la testa, aggrotta leggermente le sopracciglia. Poi si pronuncia: «L'insufficienza ovarica non mi sembra dimostrata, se vuole può fare un tentativo con i suoi ovuli (altri 4mila euro ndr). Però l'avviso che dopo i 40 anni le chance di riuscita sono un po' sopra al 10 per cento. Mentre con l'ovodonazione la sua età non ha più importanza e le percentuali di successo salgono al 50%, quasi al 90% dopo quattro tentativi. Pensi — si esalta — che non dovrà nemmeno fare l'amniocentesi perché la donatrice avrà solo 25 anni». Ma poi non ci saranno problemi psicologici? E il patrimonio genetico? «Un figlio è di chi lo partorisce — spiega convinta — quando le crescerà dentro la pancia si dimenticherà di come è nato». PROBLEMI PSICOLOGICI - Già, i geni non contano. Vallo a raccontare a Katrina Clark, nata in America da madre single, che a 17 anni si è messa a cercare il padre biologico per mare e per terra finché non ha ricevuto per email la sua fotografia: «Quando l'ho vista mi è preso un colpo — ha raccontato —, sul computer c'era la mia stessa faccia che mi guardava. E così in un secondo avevo trovato il pezzo mancante del puzzle. Il puzzle di chi sono io». O alla signora straniera che ha tempestato di telefonate il dottor Ramina, andrologo in un altro centro della città, il Cefer: «La donna aveva avuto un figlio con la spermodonazione — spiega Ramina — e qualche anno dopo il marito era morto, così voleva far conoscere il papà biologico al bambino. Ovviamente le ho detto di no». Di casi così è piena la cronaca. Tanto che in Gran Bretagna hanno tolto l'anonimato per i donatori di sperma. Risultato: c'è carenza di seme e gli inglesi volano in Spagna. «Allora cosa ne dice? — chiede la dottoressa impaziente —. Ora le faccio vedere una presentazione con le due tecniche, così avrà le idee più chiare». IL MENU - Segue una rigorosa enunciazione di tutto quello che accadrà da un punto di vista medico con tanto di foto dell'ovulo fecondato e dell'embrione ai suoi albori. «Ha ancora dubbi? Se sceglie la stimolazione si dovrà far controllare in Italia e venire qui al momento del pick up dei suoi ovuli, altrimenti seguirà la terapia che le invieremo per preparare l'endometrio a ricevere l'embrione, la chiameremo due giorni prima quando la donatrice sarà pronta». Ma chi eseguirà i controlli in Italia? «Ci sono alcuni centri italiani che sono in contatto con noi, ma sarà lei poi a doverci mandare gli esami via fax. Ecco una lista di quelli di Milano». Gli istituti sono quattro, su alcuni c'è scritto anche il nome di un medico di riferimento ma la legge italiana dice che «chiunque realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni è punito con la reclusione da tre mesi a due anni». Per questo molti dottori aiutano le loro pazienti di soppiatto. Alcuni si spingono fino a prescrivere i farmaci da portare all'estero, anche quelli per le donatrici ma il rischio è alto. «Lei ci provi, comunque» consigliano in clinica. E le donatrici? «Su questo non deve preoccuparsi — dice la dottoressa con un sorriso —, sono tutte ragazze sane che sottoponiamo ad analisi e visita completa. La donazione è un atto altruistico, diamo solo 900 euro come rimborso spese. Ovviamente ci prenderemo cura di selezionare una persona con le sue caratteristiche fisiche. Lei non ha propriamente un aspetto spagnolo ma noi abbiamo giovani di tutte le nazionalità. Sono loro a trovarci su Internet. Dal momento in cui lei deciderà, l'attesa sarà di tre mesi. Per il donatore, invece, non c'è problema. Ci dica che aspetto vuole che abbia». Tre mesi per trovare una ragazza sono tanti. In altri centri si parla di 4 settimane. Ma c'è chi ha dovuto aspettare anche un anno. Con la crescita della domanda, infatti, gli istituti hanno difficoltà a trovare giovani pronte a donare gli ovuli. Si dice che molte vengano reclutate nei Paesi dell'Est. Oppure che si usi una donatrice per due riceventi, diminuendo così le possibilità di riuscita dell'intervento perché la qualità degli ovuli scade. ESCLUSIVA - «No, non è così — interviene la dottoressa —, la donatrice sarà solo per lei, certo se poi produrrà veramente tanti tanti ovuli allora la divideremo con un'altra. Perché sarebbe uno spreco capisce? Saremmo costretti a congelare troppi embrioni e il tasso di successo diminuirebbe, si tratta di embrioni che hanno subito un bello stress». La visita è finita. La dottoressa stringe la mano alla paziente e la congeda: «Allora noi abbiamo le sue analisi e i suoi dati, quando ha deciso ci chiama o ci scrive un'email e noi le mandiamo la terapia. Non c'è bisogno che torni prima, ci rivediamo direttamente per l'impianto. In bocca al lupo». Uscendo la paziente ha un brivido. Non le hanno chiesto la fotografia. Ma allora la donatrice come la sceglieranno? Monica Ricci Sargentini 07 aprile 2007 Modificato 7 Aprile 2007 da curvadong Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
castano_chiaro Inviato: 7 Aprile 2007 Segnala Share Inviato: 7 Aprile 2007 Ti adotto un embrione. E in Spagna è nato il primo bambino Gerard pesa tre chili e 340 grammi, è alto 50 centimetri ed è stato adottato quando era un embrione. Abbandonato nel “freezer”, scongelato dopo sette anni, trasferito nell’utero di una donna, la sua madre adottiva. Meglio adottato che congelato... In Italia non succede perché la legge 40 non lo permette. E non lo permette per via della bocciatura che in Parlamento ebbe la proposta della cosiddetta “adozione per la nascita”. Bocciatura voluta e imposta dalle forze politiche che non volevano l’approvazione della legge, le stesse che poi hanno chiesto, ottenuto e sonoramente perduto il referendum abrogativo dello scorso 12-13 giugno. Fu – il rifiuto dell’adozione degli embrioni – il risultato più importante portato a casa in Parlamento dai fautori della fecondazione artificiale “senza se e senza ma”: una strada che invece ha percorso un altro paese europeo, paradossalmente proprio quello che più spesso è stato citato come modello di legislazione aperta e “laica”. Il paese è – per dirla con il gergo referendario – “la cattolicissima Spagna”. E’ qui, a Barcellona, ieri è nato Gerard, tre chili e 340 grammi, 50 centimetri, una mamma di nome Eva. Una mamma che lo ha portato in grembo per nove mesi, che lo ha conosciuto, che lo ha partorito. Una mamma, però, che non lo ha concepito. Perché Gerard, da Eva, è stato adottato. Adottato quando era un embrione, quando stava sotto azoto liquido nei congelatori dell’Istituto Marques del capoluogo catalano, dove si pratica la fecondazione artificiale. In questo istituto Gerard – a quel tempo non lo chiamavano certo così, era solo un embrione – ci era arrivato ben sette anni fa, quando i suoi genitori biologici avevano scelto la via della procreazione medicalmente assistita. Avevano creato cinque embrioni, e due erano stati subito impiantati, con il risultato – davvero fortunato – di una gravidanza gemellare. Nati i due piccoli, madre e padre hanno deciso che poteva bastare così: non avrebbero mai più tentato di avere altri figli. Una decisione presa con la consapevolezza che tre loro embrioni sarebbero rimasti congelati. Per sempre, fino alla loro distruzione. Nel linguaggio burocratico i due genitori sono “pazienti sani che hanno realizzato un trattamento di fecondazione in vitro ed hanno già completato il proprio desiderio riproduttivo''. Desiderio completato, e buona fortuna a tutti. Nei freezer di Barcellona sono rimasti dunque tre embrioni, con nessuna possibilità di nascere. Che farne? Le risposte, le più varie: quella più in voga è la “donazione alla scienza”, la distruzione cioè di questi embrioni al fine di ricavarne cellule staminali embrionali. In Spagna si può: è stato il governo Zapatero a consentirlo alcuni mesi fa. Ma, contemporaneamente, sono partite anche iniziative volte a dimostrare che un’alternativa alla distruzione di quegli embrioni c’è, ed è praticabile. Il progetto “adozione” è fra questi, sicuramente, il più convincente. All’Istituto catalano hanno bussato oltre 200 fra coppie e donne sole, provenienti dalla Spagna ma anche dall’estero, in misura pari ad almeno il 30%. Tutte interessati agli embrioni congelati, tutte tenendo in considerazione l’ipotesi di accogliere quegli embrioni, fino alla loro – eventuale – nascita. Nell’arco di qualche mese, sono 91 le donne che hanno effettuato il trattamento: di queste, 33 sono rimaste incinte. Eva è stata la prima a partorire, Gerard il primo embrione abbandonato a venire al mondo. Altre 56 donne sono in procinto di sottoporsi al trattamento. Le motivazioni per le quali queste donne acconsentono a tentare una gravidanza con embrioni abbandonati (e dunque con figli non geneticamente propri) sono svariate: ci sono coppie sterili che preferiscono fare ricorso agli embrioni già esistenti, ci sono coppie che scelgono quegli embrioni per evitare i rischi di un figlio malato, ci sono coppie assolutamente fertili che scelgono questa strada al solo fine di offrire una possibilità di vita – l’ultima – agli embrioni abbandonati, salvandoli dagli esperimenti scientifici. E ci sono pure donne single – anche omosessuali - che ritengono questa strada più semplice e più socialmente accettata rispetto a quella di una fecondazione eterologa (consentita in Spagna). Motivazioni difformi, dunque, ma sta di fatto che un embrione destinato a morire (altrove, ad esempio in Gran Bretagna, sarebbe già stato eliminato dopo cinque anni di congelamento: Gerard è arrivato a sette, come detto), un embrione destinato a morire, si diceva, è invece nato. Scampando a tutti i pericoli che aveva attorno. Certo, Gerard ha due fratelli (i figli dei suoi genitori biologici), due fratelli concepiti lo stesso suo giorno ma nati più di sette anni prima, che non conosce e verosimilmente non conoscerà mai. Ma almeno non si trova più congelato in un freezer, in attesa dell’arrivo della sua data di scadenza. Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Messaggi raccomandati
Crea un account o accedi per lasciare un commento
Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento
Crea un account
Iscriviti per un nuovo account nella nostra comunità. È facile!
Registra un nuovo accountAccedi Subito
Sei già registrato? Accedi da qui.
Accedi Adesso