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Prime Mosse....


curvadong

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Credo che avremo un autunno caldo... e non credo che gli ordini professionali lasceranno tutto questo accadere senza colpo ferire.

 

Penso alla liberalizzazione delle licenze dei taxi, per esempio.

 

Non conosco nel dettaglio la norma, ma non sono gli enti locali (i Comuni) a decidere il numero di licenze massimo che circola sul mercato?

 

Mi ricordo di un tentativo di Albertini di aumentarle a Milano e di una manifestazione dei taxisti che bloccarono (contro qualsias legge e norma di ordine pubblico) la via all'aeroporto di Linate per protestare.

 

E' sufficiente la norma del governo o ci vuole anche il via llibera degli enti locali?

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http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editori...04/ichino.shtml

 

 

 

Le vecchie licenze

di

Pietro Ichino

 

Il sistema della licenza rilasciata dal Comune svolge per i tassisti la stessa funzione che l'iscrizione obbligatoria a un albo svolge per i liberi professionisti e che il divieto di licenziamento svolge per i lavoratori dipendenti: una garanzia di sicurezza di continuità del lavoro e del reddito.

Poiché la sicurezza è uno dei beni più importanti della vita, si capisce che ciascuna di queste categorie la difenda con le unghie e coi denti.

Il problema è che questa garanzia funziona essenzialmente limitando la concorrenza, cioè proteggendo l'insider che ne gode contro il rischio di essere sostituito da un outsider.

 

Donde un costo non solo per chi si vede sbarrato od ostacolato l'accesso al mestiere protetto, ma anche per gli utenti, in termini di riduzione dell'offerta del servizio e di prezzi più alti. La sicurezza del lavoratore, dunque, è un bene; ma non un bene assoluto: la sua protezione deve essere contemperata con gli interessi di altri. E qui i nostri tassisti non hanno davvero le carte in regola: perché per anni hanno sempre fatto le barricate contro qualsiasi aumento del numero delle licenze, guardando soltanto al proprio interesse e ignorando totalmente quello della collettività. Col risultato che nelle nostre città troppo sovente il taxi non si trova.

 

Detto questo, siamo una società libera e pluralista, nella quale i tassisti hanno lo stesso diritto di tutti gli altri lavoratori di associarsi e lottare per difendere i propri interessi. Anche contro provvedimenti dell'autorità costituita: lo sciopero «politico» è consentito ai lavoratori autonomi come ai subordinati. E anche usando argomenti stravaganti o palesemente irragionevoli: come quello secondo cui il basso numero delle licenze sarebbe necessario per garantire agli utenti un servizio migliore e più sicuro. A una condizione, però: che le forme di lotta restino rigorosamente entro i limiti della legalità. Non è il caso delle agitazioni di questi giorni, che non soltanto hanno violato apertamente la disciplina del conflitto sindacale nei servizi pubblici di trasporto, ma si sono spinte a bloccare il traffico stradale impedendo ai viaggiatori persino di recarsi in aeroporto o farne ritorno con i propri mezzi. Come pensano i tassisti di poter trarre profitto dal dichiarare guerra in questo modo ai propri concittadini?

 

Non dovrebbe, del resto, essere solo l'esigenza di conservare un buon rapporto con la collettività a indurre i tassisti a rispettare la legge. Dovrebbe indurli a rispettarla anche una considerazione attenta e lungimirante dei loro stessi interessi. Ciò che essi difendono, a ben vedere, è una garanzia fondata essenzialmente proprio sulla legge; non pensano che l'ordinamento stesso oggi da loro calpestato potrebbe reagire ignorandoli, cioè facendo a meno di loro? Potrebbe accadere, per esempio, che un prefetto o un sindaco — constatata la violazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici, la situazione di grave pregiudizio che ne deriva per la cittadinanza e l'impraticabilità in questo settore della precettazione — autorizzi in via d'urgenza altri e in altre forme a offrire il servizio di autotrasporto ai cittadini. Se poi l'esperimento prendesse piede, allora sì la vecchia «licenza per l'esercizio di auto di piazza» rischierebbe di diventare un pezzo di carta straccia.

 

04 luglio 2006

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  • 2 weeks later...

A fronte di quelli che sono sembrati cedimenti da parte del ministro bersani nella trattativa con i tassisti....

 

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editori.../giavazzi.shtml

 

 

La breve estate dell'economia

 

di Francesco Giavazzi

 

È stato un anno faticoso per i politici dell’Unione. In autunno le primarie, poi una lunga campagna elettorale. Dopo le elezioni, le trattative per il nuovo presidente della Repubblica e per formare il governo, il mese scorso il referendum, i decreti Visco e Bersani e il Dpef. È normale che si tiri un sospiro, si assaporino i successi e si guardi a metà settembre, quando riaprirà il Parlamento e si scriverà la Legge Finanziaria. E tuttavia lasciar trascorrere due mesi senza fare praticamente nulla potrebbe essere fatale.

 

Le liberalizzazioni sono tutt’altro che acquisite. Se la tensione si allenta le corporazioni si riorganizzano e difficilmente si faranno cogliere di sorpresa una seconda volta. Il presidente Mao diceva «colpirne uno per educarne 100»: bisogna fare l’esatto contrario. Come ha scritto Mario Monti sul Corriere, guai a dare l’impressione di essersi accaniti contro alcuni salvando altri. Non cedere al ricatto dei tassisti è essenziale, ma non basta: occorre andare avanti.

 

Il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa dice che la Finanziaria interverrà sul pubblico impiego. Le retribuzioni lorde dei dipendenti pubblici crescono un punto all’anno più di quelle del settore privato, e non mi pare che la produttività dei dipendenti pubblici giustifichi quel divario. Negli anni Novanta la spesa per i dipendenti pubblici era stata ridotta dal 12 al 10,5% del pil; ora è risalita all’ 11. Davvero per fermarla occorre aspettare gennaio quando entrerà in vigore la Finanziaria? Non c’è neppure un ufficio superfluo, una funzione eliminabile, un ente inutile? Il Governatore Draghi ha annunciato che chiuderà l’Ufficio italiano dei cambi (a 17 anni dalla fine dei controlli valutari, meglio tardi che mai): coraggio, ministro!

 

Un anno fa Prodi delineò, in un’intervista al Sole 24Ore, un ampio progetto di riforma delle Autorità: eliminazione di Isvap e Consip, rafforzamento della Consob, creazione di una nuova Autorità per le reti. L’indebolimento delle Autorità è stato uno dei colpi più gravi che il governo Berlusconi ha arrecato alla concorrenza. Basta tradurre quella bella intervista in un articolato e farlo approvare in Parlamento dalla maggioranza: ora, non fra otto mesi a Finanziaria approvata.

 

Le privatizzazioni sono il grande assente nel Dpef: cinque righe in un documento di 160 pagine. Io comprendo che il ministro dell’Economia non abbia ancora avuto il tempo di studiare le carte, ma quanto bisogna studiare per convincersi che il Poligrafico dello Stato deve essere messo all’asta? Ora, non dopo che sarà ristrutturato, come ha scritto nel Dpef (p. 57): sono 15 anni che il Poligrafico è in ristrutturazione, una furbizia per non mandare a casa presidente e amministratori. Il Bancoposta è la più grande banca italiana: davvero deve rimanere pubblica? Non potrebbe iniziare proprio da lì il consolidamento delle banche italiane sollecitato dal Governatore?

 

Il ministro Mussi ha annunciato che la valutazione sarà il perno della nuova università, e che creerà un’agenzia indipendente per la valutazione. Una buona idea, ma temo che richiederà molti mesi, e intanto nell’università nulla cambia. (È proprio chi teme il cambiamento che vuole la nuova agenzia). Valutazioni degli atenei già le aveva concluse il ministro Moratti. Se davvero Mussi vuole migliorare l’università, perché non annuncia che dal prossimo anno i fondi verranno assegnati in funzione dei risultati conseguiti in quelle valutazioni?

18 luglio 2006

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  • 2 months later...

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezion...12250girata.asp

 

POLITICA

Taxi liberi e meno cari? Sotto la riforma niente

Gli effetti: mezza intesa a Roma e 60 auto in più a Firenze

16/10/2006

di Marco Sodano

 

La riforma dei taxi

TORINO. Sotto la riforma niente. La liberalizzazione dei taxi per cui il ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani ha ingaggiato una guerra con le auto bianche l’estate scorsa è rimasta sulla carta. Tutt’al più si può sventagliarla sotto il naso degli autisti come spauracchio: perché il risultato con cui s’è chiuso il braccio di ferro di luglio è un provvedimento nel quale si dice che i Comuni «possono» aumentare il numero delle licenze, «possono» decidere di concedere permessi temporanei per le grandi occasioni, «possono» cambiare le condizioni del servizio. È del tutto evidente che «possono» ma non vogliono, e i più ardimentosi si limitano a minacciare di esercitare questo potere scivoloso.

 

Chi se la sente di sfidare i tassisti dopo la guerriglia di luglio? Bruno Pamieri, responsabile dell’area economica di Confartigianato, ha seguito la vertenza da vicino. Spiega: «Il problema è stato trasferito ai Comuni, tutto qui. E la concertazione è una faccenda complicata, bisogna far sedere allo stesso tavolo Consumatori e tassisti, è inevitabile che ci siano tensioni fori». Insomma chi può evitare il confronto, evita. Esempio di scuola: il sindaco di Roma Walter Veltroni, uno che il confronto non lo ha evitato, anzi. Nei giorni della protesta era indicato come il mediatore - lo ribattezzarono d’ufficio «paladino» delle auto bianche -, ed è l’unico che ha ottenuto qualcosa. Un aumento delle corse del 35%, ma tenendo fermo il numero delle licenze. Ora vorrebbe far digerire agli autisti il controllo satellitare delle auto pubbliche - per impedire trucchetti a danno dei clienti -: quelli gli han risposto picche, lui minaccia di firmare 2500 licenze nuove di zecca. Nel frattempo, trovare un taxi a Roma resta una scommessa col destino.

 

E dire che nella Capitale è stata fissata la tariffa predeterminata per i collegamenti con l’aeroporto di Fiumicino, altra novità introdotta dal decreto Bersani: peccato che si sia raggiunto un accordo per il quale le auto registrate nel Comune di Roma chiedono 40 euro (per tornare a casa), mentre quelle registrate a Fiumicino ne chiedono 60 (dopo la corsa devono tornare alla base). Le liti con i clienti appena sbarcati a Roma sono ormai pane quotidiano: difficile far capire a un passeggero che deve sborsare 20 euro solo perché il destino gli ha assegnato l’auto sbagliata.

 

Nel resto d’Italia si segnala Firenze, dove il Comune ha aperto un bando per 60 licenze nuove. Per il resto, tutto tace: a Torino si tratta sull’eventualità di istituire la tariffa fissa per il collegamento con l’aeroporto di Caselle. Rilasciare nuove licenze? A quanto pare sono d’accordo tanto gli autisti quanto l’amministrazione: non se ne parla perché non ci sono richieste. In parallelo, i tassisti milanesi hanno aperto la trattativa sui turni flessibili e la tariffa fissa da e per l’aeroporto. Ma a Palazzo Marino gli autisti hanno messo sul tavolo la richiesta di aumentare le tariffe del 10%: «sono ferme al 2002». A Napoli il mercato è saturo: ci sono più auto bianche che clienti e i taxisti «hanno fatto rumore» per tenere lontana la concorrenza. Pamieri tiene però a sottolineare che s’è creata troppa attesa sul concetto stesso di liberalizzazione. «Facciamo un calcolo rapido: la corsa di un taxi vale circa un euro al chilometro. La velocità media delle corse, a Roma, è di otto chilometri l’ora. Il turno dura otto ore», con 64 euro di incasso non si campa la famiglia. «Non è questione di concedere nuove licenze, quanto di permettere ai taxi di circolare a velocità decenti». Secondo punto: «La liberalizzazione non è la soluzione universale. è vero che a New York basta schioccare le dita per avere un’auto a disposizione, altrettanto vero che il mestiere del taxista laggiù è considerato l’anticamera del suicidio».

 

La deregulation selvaggia ha portato le licenze a prezzi stratosferici: 300mila dollari. Così le comprano solo grandi imprese che poi, nei garage, affittano agli autisti le automobili. Pamieri: «Il tassista paga 100, anche 150 dollari al giorno per usare l’auto di proprietà della società. Dopodiché non ha limiti di turno: può girare anche ventiquattro ore, il primo imperativo è recuperare i 100 dollari. La qualità del servizio va di conseguenza. Un’ultima osservazione: si parla tanto male delle tariffe dei taxi, ma se si facesse un calcolo chilometrico scopriremmo che il trasporto pubblico costa molto più caro. L’unica differenza è che lì la spesa è coperta in minima parte dal biglietto: il resto lo paghiamo con le tasse». Conclusa la vertenza di luglio i tassisti dissero: «Abbiamo vinto noi». Il ministro Bersani, piccato, rispose: «Hanno vinto i cittadini». I comuni non sono soddisfatti: per loro hanno vinto tutti gli altri. Con buona pace di chi il taxi non lo trova e - se lo trova - lo paga una stangata

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