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Sulla Cecenia


curvadong

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http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=770

 

 

 

  Citazione
In ricordo di Maskhadov

Corriere della sera 9 marzo 2005

di André Glucksmann

 

Aslan Maskhadov, presidente ceceno eletto sotto controllo internazionale, è morto. Assassinato. Il piano delle autorità russe è riuscito: d’ ora in poi dovranno confrontarsi soltanto con Shamil Basayev, leader estremista da loro plasmato e da loro a più riprese risparmiato, da Budinnovsk al Daghestan. Putin, l’ agente segreto che trascorre le vacanze in compagnia di Schröder e Berlusconi, si trova di fronte un suo simile, un terrorista che non ha ancora la sua tempra, già la sua crudeltà. Il massacro continuerà e gli attentati riprenderanno.

 

Aslan Maskhadov aveva appena proclamato un cessate il fuoco unilaterale e dichiarato di voler rappresentare i valori dell’ Occidente, non quelli dell’ Islam radicale. Aveva dato prova della sua forza. Era giunto il momento di ucciderlo. Per impedire che quello spirito di «rivoluzione permanente» che terrorizza il nostro amico zar conquistasse il Caucaso settentrionale. Nessun politico occidentale ha osato invitare il Cremlino a negoziare con il solo leader legittimo di un popolo di martiri ed eroi. Pensate al comandante Massud in Afghanistan. Dopo aver resistito ai russi e agli islamici, è stato abbandonato e ucciso, a beneficio di Bin Laden. Nessuno dei nostri rappresentanti si è opposto a Vladimir Putin, nel momento in cui ha assimilato la resistenza militare degli indipendentisti ceceni al terrorismo internazionale. Al contrario, Chirac e Schröder hanno proclamato il maestro del Cremlino arcangelo della pace. Era un assegno in bianco e l’ allievo del Kgb l’ ha usato. Privi di qualsiasi morale, i nostri dirigenti manifestano una notevole imbecillità politica. Quale leader potrà ora placare queste migliaia di torturati che non sognano altro che la vendetta? Chi sarà in grado di negoziare, appena i russi si saranno resi conto della follia sanguinaria che le agita? Come trovare in questa giovane generazione che non ha conosciuto altro che guerra e oppressione, un uomo della statura di Maskhadov? La Cecenia sprofonderà nell’ orrore, più di quanto non abbia fatto finora.

 

Yasser Arafat morendo ha avuto diritto a tutti gli onori tributatigli da Francia ed Europa. Il presidente ceceno, che non ha mai invocato massacri di civili, morirà come ha combattuto, da solo. Abbandonato da tutti, isolato sulle sue montagne ribelli, Maskhadov non ha esitato a condannare la presa d’ ostaggi del teatro di Mosca e l’ orrore di Beslan. Esattamente come aveva fatto con gli attentati dell’ 11 settembre. Eroe indipendentista, ha proposto un piano di pace anti-terrorista che rinviava la questione dell’ Indipendenza. In nome della pace. Il piano prevedeva la smilitarizzazione di tutti i combattenti sotto controllo internazionale. Eppure Onu, Ue, Osce, Nato, non si sono degnati di discutere un piano vecchio di tre anni e continuamente riproposto. Malgrado le operazioni di pulizia, gli stupri, i saccheggi, lo sterminio di un quarto della popolazione (come se in Italia o in Francia fossero stati eliminati tra i 10 e i 15 milioni di individui), malgrado i suoi esuli terrorizzati, la Cecenia resiste, alla barbarie dei russi e alle sirene del fanatismo religioso. Perché tanto accanimento contro una popolazione di un milione di persone (un tempo)? Perché negarle compassione? L’ ostinazione di Mosca non deriva da considerazioni strategiche, né da meri interessi energetici. La principale ragione di tre secoli di guerra coloniale e crudeltà in Caucaso è di natura pedagogica, i grandi poeti russi l’ avevano capito. Si tratta di dare un esempio, spiegare ai russi a cosa va incontro chi non rispetta gli ukaze (editti imperiali, ndr). Nel 1818, il generale Ermolov svelava a Nicola I l’ essenza di questa lotta: «Con il suo esempio, il popolo ceceno instilla uno spirito di ribellione e d’ amore per la libertà anche nei soggetti più devoti a Vostra Maestà». Putin ha tradotto nel suo gergo da sottufficiale sovietico la lezione dell’ imperialismo zarista: vanno «inseguiti fin nelle latrine», questi eterni ribelli.

 

Sì, Aslan Maskhadov aveva le mani sporche di sangue, come i resistenti di Francia e d’ ogni dove. Combatteva un nemico armato e ispirato da pulsioni assassine. Ai giorni nostri, non è una bella vita, quella dei veri resistenti. Aslan Maskhadov è morto anche per le nostre incapacità lessicali. Evochiamo il termine genocidio appena possiamo, mai in presenza di un genocidio vero, come in Ruanda nel 1994. Conferiamo la qualifica di «resistenti» ai salafiti o ai saddamisti che sgozzano gli agenti elettorali e i cittadini iracheni. Ci rifiutiamo, però, di applicare la stessa qualifica ai combattenti per la libertà che non si rassegnano all’ estinzione del loro popolo. Rifiutando di vederlo per quel che era, presidente e patriota, i leader occidentali hanno permesso l’ assassinio di Maskhadov. Gli piacevo. Nel corso delle mie peregrinazioni in Cecenia (giugno 2000) non siamo riusciti a discutere, ben tre volte i nostri incontri sono stati interrotti dalle bombe. Gli ho trasmesso le mie domande, mi ha risposto in cassetta con una lunga lettera, nella quale denunciava l’ islamismo e concludeva: «In una Cecenia libera, nessuna donna sarà mai costretta a portare il velo». Al termine del suo ultimo racconto «Hadji Murat», Tolstoj dipinge, in forma di testamento letterario e politico, una scena allucinata: recapitata su un piatto a un ignavo zar, la testa mozzata di un nobile capo ceceno. Aslan Maskhadov è morto ieri nel villaggio di Tolstoj Iourt. La Cecenia ha perso il suo de Gaulle. Noi abbiamo perso, ancora una volta, il nostro onore.

Modificato da curvadong
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IL FILOSOFO FRANCESCE IN PRIMA LINEA INSIEME ALLA REPORTER RUSSA PER SPEZZARE IL SILENZIO DELL' OCCIDENTE SUL DRAMMA DELLA CECENIA

 

Glucksmann: i burattinai sono al Cremlino

 

8/10/2006 "La Stampa"

 

Domenico Quirico

 

 

 

 

PARIGI. «Oggi è una tragica giornata per la Russia, per noi, per i ceceni e molto probabilmente una buona giornata per Putin; che la Francia ha decorato con la Gran Croce della legion d'onore». E' commosso André Glucksmann, commosso ma implacabile nell'accusare. Non ha dubbi sui burattinai del delitto di Mosca. Poche ore dopo l'assassinio di Anna Politkovskaja era già a fianco di studenti e profughi ceceni, a ricordare la giornalista. Con lei ha condiviso le battaglia per spezzare il silenzio dell'occidente. Per lei ha scritto la prefazione al libro-denuncia «Il disonore russo».

 

«Era una donna straordinaria. Era stata decine di volte in Cecenia e ogni volta il ritorno non era mai assicurato. Mi ha raccontato che era stata intimidita con una sorta di finta esecuzione, era braccata dall'esercito russo, le davano la caccia. Ma lei si sentiva in missione. Le avevo detto molte volte: fermati, prenditi uno o due anni di riposo, le avevo proposto delle borse di studio in Germania o negli Stati Uniti. Ha sempre rifiutato. Perché sentiva di avere una missione: salvare l'onore della Russia. Quale onore? Non era certo una nazionalista, amava semmai la grande cultura russa, i suoi poeti e scrittori. Per questo rischiava la vita e sapeva che rischiava la vita. Ogni volta che la salutavo le dicevo: arrivederci, forse.

 

Quando andava per i suoi reportage era sempre al limite. Eppure non voleva che il giornale mandasse altri, dei giovani reporter, perché diceva non hanno esperienza e rischierebbero ancora di più. Quando ci fu il sequestro degli ostaggi a Beslan voleva andare per proporsi come mediatrice ma non la fecero arrivare.

 

La mediatrice la fece davvero durante l'altro sequestro, al teatro Dubrovka a Mosca. Entrò nel teatro perché aveva la fiducia dei ceceni che sapevano che era onesta e coraggiosa. Ma poi intervennero i soldati russi e gassarono tutti a morte.

 

Aveva la fiducia dei ceceni non perché era partigiana; anzi era critica anche nei loro confronti ma era di una onestà perfetta. E sapeva che i principali criminali erano nell'esercito russo».

 

Nei suoi articoli scriveva che in realtà in Cecenia è in gioco il futuro della democrazia russa... «E' così. Un esercito che si comporta così ferocemente si comporta allo stesso modo quando le reclute smobilitate tornano a casa. Era già successo in Afghanistan. E poi si tratta in realtà di una operazione pedagogica. Ogni volta che la Cecenia è scelta come bersaglio è un esempio che si dà alla popolazione russa: se tu, russo, sei insolente e fiero come i ceceni ecco cosa ti può capitare, devi obbedire.

E' una storia antica che c'è già in Tolstoi. Basta leggere le lettere che il generale Ermolov che costruì Grozny scrisse allo zar Nicola I: “Questo è un popolo che dà il cattivo esempio a tutti i sudditi di vostra maestà e quindi bisogna sterminarli”. Quel generale e lo zar hanno inventato la guerra con la deforestazione, bruciavano i boschi per impedire ai ribelli di trovare rifugi. Poi da Nicola si è passati a Stalin che deportò il popolo ceceno e poi all'esercito russo».

Eppure le sue denunce erano soffocate nel silenzio. «Una volta a Parigi mi raccontò, erano i tempi di Abu Ghraib, che si era procurata da soldati russi delle cassette in cui i soldati avevano filmato le brutalità ai danni di 300 prigionieri ceceni. Erano guerriglieri che si erano arresi fidando nella promessa di clemenza di Putin che aveva annunciato una tregua. La maggioranza di loro fu uccisa, si vedevano camion con i cadaveri, altri torturati. Scrisse un articolo, pubblicò sul suo giornale le foto, era certa che la cassetta avrebbe sollevato un enorme scandalo come era avvenuto per Abu Ghraib, in Russia e in Occidente. Ebbene solo il suo giornale riportò la notizia».

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