castano_chiaro Inviato: 3 Aprile 2007 Segnala Share Inviato: 3 Aprile 2007 Il colpo di scena domenicale su Telecom Italia è uno straordinario esempio di gara tra chi ha accumulato più torti che ragioni. Quando ci si misura sul destino di una delle maggiori aziende quotate italiane, dalla travagliata storia fin dai tempi della cattiva privatizzazione iniziale col metodo del nocciolino duro per privilegiare la Fiat, fino ai due successivi passaggi di mano di cui il primo almeno tramite Opa e il secondo invece nemmeno con quello (tagliando completamente fuori i soci di minoranza), i torti e le ragioni si misurano non sull'aura più o meno di successo del socio di controllo di turno, ma sui diritti rispettati o violati innanzitutto dei soci di minoranza. Che nel caso di Telecom Italia non sono decine e decine di migliaia di piccoli risparmiatori, ma decine e decine di grandi e piccoli fondi d'investimento, italiani e internazionali Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
faranio Inviato: 3 Aprile 2007 Segnala Share Inviato: 3 Aprile 2007 Sì...ma la sinistra che c'entra???? Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
pontiac Inviato: 3 Aprile 2007 Segnala Share Inviato: 3 Aprile 2007 faranio ha scritto: Sì...ma la sinistra che c'entra???? centra è sempre colpa dei comunisti :lol: Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
castano_chiaro Inviato: 3 Aprile 2007 Autore Segnala Share Inviato: 3 Aprile 2007 faranio ha scritto: Sì...ma la sinistra che c'entra???? E caro Faranio continua sempre a scappare davanti ai problemi tu.... allora ti rinfresco un po le idee, leggi e documentati Caso Telecom L’imbarazzo del governo. Prodi tace Roma - Più Stato o più mercato (controllato dallo Stato)? Questo è il problema che attanaglia la maggioranza dell’Unione alle prese con le offerte congiunte di At&t e di América Móvil per la quota di controlla di Telecom Italia. Le due anime di Amleto, in questo caso, sono incarnate dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti, e dal portavoce unico del governo, Silvio Sircana. Per quest’ultimo, qualsiasi decisione prenda il consiglio di amministrazione di Telecom sarà «sacra». L’ex segretario di Rifondazione, al quale lo scranno più alto di Montecitorio sembra andare sempre più stretto, considera invece una «lesione della sovranità nazionale» l’impossibilità della politica di pronunciarsi sulla vicenda. Due opposte visioni del mondo che si contraddicono e che semplificano il lavoro dell’opposizione di centrodestra. La Cdl, pur ribadendo con lo stesso leader Silvio Berlusconi che «è il mercato» a dover dire l’ultima parola, ha messo in evidenza le pericolose tendenze statalizzatrici della maggioranza. Bertinotti vs. Sircana. «Su una scelta strategica per lo sviluppo del Paese come quello delle reti di Telecom, il potere politico istituzionale non può esprimersi perché in altri luoghi si prendono le decisioni». È rammaricato il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, e non lo nasconde. «Siamo di fronte - aggiunge - a una lesione della sovranità nazionale». Poi, si corregge per non dar l’immagine del sovietizzatore. «Il che non vuol dire - precisa - che la soluzione sarebbe la scelta dello Stato imprenditore». A far da contraltare l’inaspettata professione di liberismo di Silvio Sircana, portavoce del governo: «Le decisioni del cda sono sacre e si rispettano». Punto. La sinistra radicale. «Siamo assai sorpresi dalla dichiarazione di Sircana che pare sottovalutare l’importanza di questa vicenda ai fini dell’interesse pubblico nazionale». Gennaro Migliore, capogruppo del Prc alla Camera, ha attaccato l’alter ego comunicativo di Prodi e ha ripetuto, se mai ve ne fosse stato bisogno, che per la sinistra radicale la soluzione è una sola: lo Stato. «Ribadiamo - ha precisato - la nostra decisa contrarietà a questa operazione e appare singolare che si dia ancora un credito incondizionato a Tronchetti Provera». Poco diplomatico pure il sottosegretario all’Economia ed esponente della sinistra Ds, Alfiero Grandi. «Non si possono consentire operazioni tutte giocate sulla speculazione finanziaria: Tronchetti alza il prezzo oppure è preso dalla disperazione e vuole vendere. Non si può fare», commenta. Folena (Prc) e Bonelli (Verdi) propongono di «dare avvio al piano Rovati e ricomprare la rete». Il Pdci con Diliberto e Sgobio ritiene necessario «scoraggiare la vendita agli stranieri» per evitare il rischio di «colonizzazione». La proprietà privata, evidentemente, è un incidente di percorso più che un diritto. L’imbarazzo del governo. Prodi tace. Un po’ per non evocare il fantasma di Rovati e un po’ per non scontentare i suoi alleati con una qualsiasi dichiarazione. Parla Giulio Santagata, suo fedelissimo e ministro per l’Attuazione del programma. «In concreto il governo non può fare alcunché e non credo che farà alcunché», dichiara. Il resto dell’esecutivo oscilla tra la preoccupazione per le sorti dell’azienda e l’imbarazzo derivante dall’aver, volente o nolente, le mani legate. «Una prova non brillante del capitalismo italiano», osserva il vicepremier Francesco Rutelli. «Mi pare che la partita sia ancora aperta e non mi pare che ci sia grande interesse da parte degli italiani», sostiene il viceministro dell’Economia Visco. «Il problema sono le prospettive industriali», dice il ministro dello Sviluppo, Pier Luigi Bersani, mentre il titolare delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, auspica una «soluzione italiana», e quello del Lavoro Damiano esprime generica preoccupazione per i dipendenti. «Il governo ha tutti gli strumenti necessari: vediamo cosa matura nelle prossime ore», precisa il segretario dei Ds, Piero Fassino. Come nella pièce di Beckett sembrano aspettare un Godot che non arriva mai: un cavaliere bianco italico, un «capitano coraggioso» per dirla con D’Alema. Di Pietro-show. Il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, che ha bloccato la fusione Autostrade-Abertis non poteva non dire la sua. Prima ha rimbrottato Sircana: «Le decisioni del Cda sarebbero sacre se esso rappresentasse la maggioranza degli azionisti». Poi ha aderito all’iniziativa del comico Beppe Grillo: raccogliere le deleghe per rappresentare i piccoli azionisti alla prossima assemblea. E infine si è fatto promotore di un decreto legge sulla governance per abolire le scatole cinesi che consentono il controllo di un gruppo con quote di minoranza. Peronismo alla molisana. Il liberismo della Cdl. «Telecom? È il mercato», chiosa Silvio Berlusconi. Nel centrodestra nessuno ipotizza alternative. «Viviamo in un’economia globalizzata», chiosa Fabrizio Cicchitto. «C’è solo un modo per far sì che Telecom resti italiana: fare un’offerta migliore», premette Maurizio Gasparri (An). «Un coro di dirigisti da operetta», ribadisce Adolfo Urso. Per Francesco Pionati (Udc), «il protezionismo è antistorico». Peccato che dall’altra parte ci sia chi ha nostalgia dell’Iri. Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
faranio Inviato: 3 Aprile 2007 Segnala Share Inviato: 3 Aprile 2007 Mi sembra normale che il governo dica la sua sul destino della più importante azienda di telecomunicazioni italiana...che tra l'altro prima era dello Stato.. comunque personalmente penso che se la comprassero gli americani o i messicani non sarebbe un dramma, visto il modo disinvolto in cui l'azienda è stata gestita in questi anni. Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
castano_chiaro Inviato: 3 Aprile 2007 Autore Segnala Share Inviato: 3 Aprile 2007 faranio ha scritto: Mi sembra normale che il governo dica la sua sul destino della più importante azienda di telecomunicazioni italiana...che tra l'altro prima era dello Stato.. comunque personalmente penso che se la comprassero gli americani o i messicani non sarebbe un dramma, visto il modo disinvolto in cui l'azienda è stata gestita in questi anni. Beh meno male, io credevo che volessero venderle ai soviet cinesi o della korea del nord... allego questo interessante articolo... La frode e il saccheggio di Telecom Italia sono stati compiuti già all’inizio, nella sua «privatizzazione». Fu nel 1997, quando il governo Prodi mise sul mercato le azioni telefoniche in possesso del Tesoro. E vendette quelle azioni - cosa nostra, pagate da noi contribuenti in mezzo secolo - per una cifra minima: tant’è vero che si vide, in un anno, che Telecom valeva sul mercato cinque volte di più (più 514 %). Insomma Prodi svendette un patrimonio nostro e dello Stato. Un regalo per amici e privilegiati. Vero è che l’enorme rialzo fu in parte dovuto ad altre frodi del governo. Si proclamò che di Telecom si voleva fare una public company; i piccoli risparmiatori furono invitati a comprare da una campagna martellante (e infatti comprarono l’85%). La fiducia dei risparmiatori fu artificialmente accresciuta dall’affermazione, emanata dal Tesoro, che la AT&T, il colosso USA delle telecomunicazioni, s’era precipitata a comprare ben il 2,4% della nostra Telecom: una presenza che aumentava il prestigio e dunque il valore di Telecom. Ebbene, era una menzogna. Quel 2,4 % restò parcheggiato al Tesoro, fino a quando AT&T rese pubblico che non aveva mai pensato di comprare alcunchè. Ministro del Tesoro era allora Ciampi, il padre della patria. Al vertice di Telecom fu nominato il sempre intoccabile Guido Rossi. In realtà, il potere fu assegnato a un «nocciolo duro» di vari proprietari, ciascuno dei quali possedeva dallo 0,5 %, allo 0,6 %: fra cui Ifil (Agnelli). I soliti capitalisti senza capitale. Prima ancora della privatizzazione, il più bell’affare sporco di Telecom: nel ‘97 compra il 29 % di Telekom Serbia, pagando a Milosevic 878 miliardi di lire. Rivenderà questa quota a Telekom Serbia, cinque anni dopo (caduto Milosevic), per 378 miliardi, con una perdita del 57%. Nel 1997, quando il governo (Prodi) privatizza Telecom, ne ricava 11,8 miliardi di euro. Lo Stato esce dalle telecomunicazioni, si proclama. Ma nel 2001 ENEL - società pubblica - rientra nelle telecomunicazioni comprando Infostrada, una concorrente di Telecom, ma più piccola. E per quale cifra? 11 miliardi di euro. Ma che c’entra Infostrada, direte voi. C’entra e spiega come avvenne il saccheggio. Infostrada è, sostanzialmente, la vecchia rete telefonica interna delle Ferrovie dello Stato. Il governo (Prodi) vendette questa preziosa infrastruttura, nostra e pagata da noi, ad Olivetti (De Benedetti) per 700 miliardi di lire, pagabili con comode rate in 14 anni. E Olivetti la vendette subito alla tedesca Mannesman per 14 mila miliardi di lire, mica a rate, ma in unica soluzione. Non è un bel regalo, un patrimonio nostro ceduto a un amico loro a un ventesimo del suo valore? Nessuno fu incarcerato per questo. Anzi, uno sì: Lorenzo Necci, onesto manager delle Ferrovie, cercò di opporsi. Giuliano Amato e Massimo D’Alema gli consigliarono di non fare il difficile, di dare la rete a Olivetti senza tirare sul prezzo. Necci non capì l’amichevole consiglio. La magistratura lo incriminò subito dopo. Le sue telefonate intercettate divennero di pubblico dominio, lo attendevano mesi di carcerazione preventiva. Poi assolto. D’Alema va al governo, e comincia il saccheggio firmato Colaninno. Questo «capitano coraggioso» dalemiano s’è accaparrato Olivetti, e con questa dà la scalata a Telecom. Con irregolarità mostruose: ma quando la Consob, con Spaventa a capo, vuol vederci chiaro, un colloquio a quattrocchi di D’Alema con Spaventa spaventa Spaventa (che non è un ardito, ed ha di fronte l’esempio di Necci). Un caso soltanto: nell’offerta pubblica d’acquisto, Colaninno è costretto ad aumentare l’offerta, da 10 a 11,5 euro ad azione, perché il titolo in Borsa è salito. Da quel momento ovviamente Colaninno ha estremo interesse che il titolo non salga più sul «libero mercato». Che fa? Si scopre che in quei giorni lui e soci vendono di soppiatto le azioni in loro possesso e di cui dichiarano al mercato di essere pronti a comprarne di più: per farne calare il corso. I capitani coraggiosi realizzano tra l’altro una plusvalenza di 50 miliardi con questa vendita occulta, perché hanno approfittato del rialzo da loro stesso determinato con l’annuncio di voler acquistare a 11,5 anziché a 10. In altri Paesi, ciò si chiama aggiotaggio e insider trading, e porta in galera. In Italia no, quando governa D’Alema. Colaninno si scusa, e finisce lì. La scalata venne definita dal Financial Times «una rapina in pieno giorno». Colaninno non ha soldi, ma amici e ingegno. Controlla al 51 % una società fantasma, la Hopa, che controlla il 56 % di un’altra entità chiamata Bell, la quale controlla il 13,9 % di Olivetti, la quale a sua volta controlla il 70% di Tecnost, che controlla il 52 % di Telecom. Fatti i conti, Colaninno e i suoi complici controllano Telecom detenendone l’1,5 %. Saggia minuscola partecipazione: Telecom ha già 30 mila e passa miliardi di debiti, e deve pagare il debito con rate di 6,600 miliardi l’anno, un rateo mangia-profitti. Qualche curiosità si appunta, in queste scatole cinesi, sulla Bell: non si sa chi ne siano i soci. A garantire la trasparenza della Bell interviene direttamente il capo del governo, D’Alema. Chissà perché. Due giornalisti di Repubblica scoprono un perché possibile: tra i soci fondatori di Bell compare un capitalista collettivo chiamato Oak Fund, con sede alle Cayman. Oak Fund significa, tradotto, Fondo Quercia, e risulta un fondo gestito in esenzione fiscale, in un paradiso vietato dalla legge italiana, da soci anonimi con quote al portatore. Sarà a causa di questo Fondo Quercia che Marco Travaglio parlerà, a proposito dei nuovi comunisti, come di gente «entrata al governo con le pezze al cxxx e uscitane coi miliardi»? Sarà per questo che Prodi esalò un giorno: «Se avessi fatto io il 2 % di quel che sta facendo D’Alema per influenzare le decisioni di aziende quotate sui mercati sarei già crocifisso»? Certo è che ci furono dei bei guadagni dai saccheggi di Colaninno. Colaninno stesso ne è uscito, dopo il disastro da lui provocato, supermiliardario. Ma non è il solo. Prendiamo per esempio la SEAT, che gestisce la pubblicità. Apparteneva a Telecom, e fu dismessa. Anzi no: ne fu poi ricomprato da Telecom il 20 % (perché se la società committente possiede almeno il 20 % della società cui affida la pubblicità, può farlo a trattativa privata evitando la gara d’appalto: in gara c’era il gruppo Fininvest, che di pubblcità s’intende un po’). Chi acquistò SEAT (Comit - De Agostini ed altri, ammucchiati in una società chiamata «Otto») a 1.955 miliardi per il 61%, la rivende trenta mesi dopo a Colaninno, che ne acquista il 20 % a 7200 miliardi; poi un altro 17 % a 5 mila miliardi, e un altro 8 % per 5750 miliardi. Insomma, una cosa acquistata a 1.955, viene venduta subito dopo a 16 mila e passa. A fornire i soldi alla «Otto» per il fortunato acquisto è Dario Cossutta, figlio dell’Armando, alto dirigente della Banca Commerciale - che è anche socia della «Otto». Ma gli altri soci, che dovrebbero pagare le imposte sulle plusvalenze dopo la splendida vendita al mille %, si trasformano prontamente in società lussemburghesi. Chi sono i padroni? Non si sa; tutta una catena di società anonime che finiscono in paradisi fiscali: si ignora chi abbia incassato la plusvalenza miracolosa senza pagare le tasse, in un’operazione voluta dal governo (Prodi) di allora. Magari qualche partito? Magari qualche gemello di un qualunque Oak Fund alle Cayman? Non chiedete a me. Vi ho raccontato solo quattro cose, delle molte che basterebbero per sbattere in galera l’intera sinistra di governo italiana, la grande saccheggiatrice del patrimonio pubblico con le «privatizzazioni». Io, poi, non so nulla. Mi sono limitato a copiare: da «Il grande intrigo», un libro del giornalista economico Davide Giacalone, distribuito da Libero. Non chiedano a me, i magistrati. Non so niente di Tronchetti, né di Tavaroli lo spione che intercettava, e che aveva da parte 14 milioni di euro (provenienti dalla società più indebitata dell’universo). Se vogliono indagare, li rimando al libro di Giacalone, è tutto scritto lì. Arrestino lui, semmai, se vogliono indagare. Io non c’entro. Maurizio Blondet fonte http://www.newmediaexplorer.org/rinaldo_la...di_e_dalema.htm Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
castano_chiaro Inviato: 4 Aprile 2007 Autore Segnala Share Inviato: 4 Aprile 2007 LIBERALI PENTITI di VITTORIO FELTRI Liberali piccoli piccoli e già pentiti, i progressisti dell'Unione - se non c'è da sparare e da farsi sparare, soprattutto - tornano conservatori e nazionalisti. Alcuni anni orsono si decise per la privatizzazione della Sip, ora Telecom. La parola d'ordine era sulla bocca di tutti: qui o si privatizza o si muore. Ci han provato una volta. Una seconda. Una terza. Ma questa volta no, proprio non ci riescono. In sintesi estrema ma non paradossale, sarebbe questo il pensiero di Marco Tronchetti Provera, assicura chi gli ha parlato dopo la bella sorpresona dell'offerta su Olimpia amero-messicana avanzata da AT&T e America Mòvil. E noi, cari lettori, vi rigiriamo ciò che abbiamo raccolto: perché ammettiamolo, ci sono tante cose che non tornano, nella telenovela di Telecom Italia. E almeno per questa volta ci mettiamo in tasca le nostre idee - che ben conoscete - , facendo puro mestiere di cronisti e riportandovi ciò che ci viene garantito essere il pensiero che in queste ore decisive anima l'azionista di riferimento di Telecom. Perché, tanto per cominciare, la cosa più succosa è che ad aver provato a fregare il patron di Telecom è la politica. Anzi, la vecchia politica, pare che dica Tronchetti: quella vecchia politica tornata prepotentemente a volersi mettere sotto i piedi i diritti proprietari degli azionisti, la loro libera determinazione di cedere Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
castano_chiaro Inviato: 4 Aprile 2007 Autore Segnala Share Inviato: 4 Aprile 2007 Cmq chissenefrega guardiamo anche l'aspetto positivo dal titolo 'come fare i soldi coi comunisti' : oggi le mie Telecom si stanno facendo un altro +3,50 e il mio fondo azionario Cina è già dagli inizi del 2007. quest'estate vacanze offerte dalla Sinistra :lol: :lol: :lol: certo ci sarebbe quel misero 20% sui capital gain ma è sciocchezza. Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
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