curvadong Inviato: 2 Ottobre 2006 Segnala Share Inviato: 2 Ottobre 2006 Questo bell'articolo di Luca Ricolfi, docente ed analista di sinistra, mette bene in evidenza come destra e sinistra si influenzino vicendevolmente e determinino ognuna la qualità intrinseca dell'altra. http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/gira...o=1722&tp=C RICORRENZEBerlusconi ha 70 anni, la destra deve crescere 29/9/2006 di Luca Ricolfi VENTINOVE settembre: non è solo il titolo dell'indimenticabile canzone dell'Equipe '84 (seduto in quel caffè / io non pensavo a te…), ma è anche il compleanno di Berlusconi. Che cosa penserà mai Berlusconi oggi, nel giorno del suo settantesimo compleanno? Non lo so, ma so su cosa mi piacerebbe che pensasse e su cosa mi piacerebbe che non pensasse. Mi piacerebbe che non pensasse troppo a riconquistare la maggioranza dei consensi: non ce n'è bisogno, per questo basta lasciar fare a Prodi e attendere con fiducia il sorpasso (che anzi, secondo qualche sondaggista, è persino già avvenuto). Mi piacerebbe che non pensasse alle manovre di Fini e Casini: sono piccole cose, difficilmente il successore di Berlusconi potrà essere uno dei due. E ancor meno mi piacerebbe che rimuginasse troppo sulla rocambolesca sconfitta di aprile, su una vittoria sfuggita per un pugno di voti. Quel che mi piacerebbe, invece, è che Berlusconi riflettesse su quest'unico punto: perché, nonostante cinque anni di governo della destra, la cultura in Italia continua a essere un affare della sinistra? Perché la Casa delle libertà e il suo maggior partito continuano ad esercitare uno scarsissimo appeal sugli artisti, sugli scrittori, sugli intellettuali? Perché la stragrande maggioranza degli studiosi di scienze sociali guarda a sinistra? Perché la grande stampa è ostile al centro-destra? Naturalmente un pezzo della risposta è che la destra ha sempre snobbato la cultura, e con l'avvento di Berlusconi ha semplicemente continuato a farlo. Non solo in Italia, ma un po' in tutti i Paesi democratici la destra ha un'inclinazione pragmatica, che la porta a puntare sui ceti operosi più che sui raffinati salotti dell'intellighenzia progressista. Fondazioni, comitati, istituti di cultura, centri studi, spettacoli teatrali, cineforum, premi letterari, fiere del libro, concerti, notti bianche sono visti quasi sempre come attività sospette, nonché additati come le prime voci su cui intervenire quando arriva il momento di tagliare gli sprechi e chiudere gli enti inutili. C'è anche del vero e del giusto in questa diffidenza, specialmente quando le più arbitrarie e improbabili iniziative culturali servono soltanto a dare visibilità a uno stuolo di politici, funzionari e faccendieri che con la cultura vera e propria ben poco hanno a che fare (un male a suo tempo vigorosamente denunciato da un poeta di sinistra come Hans Magnus Enzensberger). Però nell'idea di una sorta di refrattarietà della destra alla cultura c'è anche un errore, o un fraintendimento, perché non dappertutto le cose stanno così. Qualche volta la cultura può anche stare in cima ai pensieri della destra, e diventare il tallone di Achille della sinistra. In due libri recenti sulla situazione politica americana,«Non pensare all'elefante!» e «La destra giusta» (il primo di Lakoff, il secondo di Micklethwait e Wooldridge), si racconta per filo e per segno come l'attuale schiacciante egemonia culturale dei conservatori sia anche il frutto di un investimento trentennale in cultura, che ha loro consentito di far circolare progetti, idee, analisi in tutti i gangli vitali della società americana: fondazioni, associazioni, istituti di ricerca, giornali, reti televisive, stazioni radio, siti Internet. Un terreno sul quale, in America, sono i democratici ad essere spiazzati e tremendamente in ritardo. Nulla di tutto ciò è stato nemmeno lontanamente tentato dalla destra in Italia, che pare non aver capito che mettere propri uomini nei posti chiave - televisioni, giornali, ambasciate, istituti di cultura - non serve a nulla se tali uomini e donne (pochine, per la verità) vi approdano in quanto fiduciari dei partiti anziché come persone autonomamente impegnate in un discorso artistico, scientifico, culturale di tipo «alto»: dove alto significa semplicemente che sta in piedi da sé, anziché essere un mezzo per qualcos'altro. E' per questo che, anche quando occupa tutte le caselle possibili e immaginabili, la nomenklatura di destra resta sostanzialmente asfittica, goffa, e in definitiva incapace di modulare il discorso pubblico. La destra italiana, a differenza di quella americana, sembra non aver ancora capito che «i risultati elettorali sono meno importanti della musica di fondo delle idee», per dirla con gli autori de «La destra giusta»; che le idee sono il frutto della libertà, della spregiudicatezza del pensiero, della ricerca appassionata della verità; che la propaganda, la faziosità, la volgarità, la cattiva informazione fanno male alla causa; che i giornali di partito non mettono in moto pensieri, mentre ci riescono i fogli e le trasmissioni corsare; che alla cultura della destra fa più bene la scanzonata allegria del «Foglio» che la plumbea ortodossia del «Giornale». Insomma, se Berlusconi avesse la pazienza di leggere Lakoff si accorgerebbe che i consigli che il linguista americano dà alla sinistra (americana) in Italia valgono innanzitutto per la destra. Perché dico tutto questo, io che mi sento più vicino alla sinistra che alla destra? Perché penso che avesse ragione Montanelli, quando diceva che la sinistra e la destra in Italia sono l'una il calco dell'altra. La sinistra egemonizza la cultura, ma lo fa in un modo soffocante, saturo di conformismo, di luoghi comuni, e di un'inguaribile voglia di aver ragione a tutti i costi. La destra ignora, snobba, talora persino disprezza la cultura, e in questo modo contribuisce a perpetuare il triste primato dell'establishment di sinistra. Se anziché lamentarsi di quest'ultimo, del suo strapotere, della sua capillarità, della sua spregiudicatezza, Berlusconi e i suoi si occupassero un po' più di idee e un po' meno di candidature e di posti, anche la sinistra non potrebbe più essere la stessa. I suoi studiosi dovrebbero fare i conti con le opinioni, le analisi, le argomentazioni, i dati degli altri. E probabilmente sarebbero costretti a diventare meno autoreferenziali, meno partigiani, meno «sofisti». Insomma, se la destra amasse un po' di più la cultura, la sinistra sarebbe costretta ad amare un po' di più la verità. E noi tutti, forse, ci ritroveremmo a vivere in un Paese un po' migliore di questo. Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
billo Inviato: 2 Ottobre 2006 Segnala Share Inviato: 2 Ottobre 2006 Sante parole!Aggiungo che però la sinistra e la destra hanno in comune una cosa;l assenza di pragmatismo "americano"tanto per intenderci.Sia l una che l altra si muovono su binari vecchi,sono fossili e si combattono con l eterna(si fa per dire)contrapposizione fra fascisti e comunisti che resta un nodo importante,uno dei tanti,per cui il nostro paese è in continua discesa e stenta a riprendersi.La sinistra intestardita a mantenere uno stato sociale per molti versi giurassico ed una destra che associa l evasione fiscale al liberismo.Questa è l italia. Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
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