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Brasileiro

Salusmaster User
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Risposte pubblicato da Brasileiro

  1. http://italietta.myblog.it/archive/2007/07...ai-partiti.html

     

     

     

    19/07/2007

    Ecco come funziona il finanziamento pubblico ai partiti

     

    Un'inchiesta della Voce ne svela i meccanismi nascostri tra una miriade di provvedimenti legislativi

     

    Continuano gli speciali della Voce sui costi della politica. Oggi speghiamo ai lettori come funziona il meccanismo del finanziamento pubblico ai partiti, mai abrogato, nonostante i cittadini italiani nel 1993 si siano espessi a larga maggioranza per la sua abolizione.

     

    A far sopravvivere in questi 12 anni di maggioritario i piccoli partiti, è stata anche la soglia minima necessaria per ottenere il rimborso elettorale. Nonostante fosse moribondo, il primo governo dell’Ulivo aveva trovato la forza di approvare la legge 3 giugno 1999 n. 157, appena in tempo per le elezioni del Parlamento europeo del 13 giugno, e per le regionali dell’anno successivo, abbassando dal 3% all’1% la soglia minima di voti per accedere al «banchetto» delle risorse pubbliche (nella vicina Francia, per aver diritto al rimborso, bisogna aver ottenuto almeno il 5% dei suffragi espressi al primo turno). Vinte le elezioni politiche del 2001, Berlusconi, con la legge 26 luglio 2002 n. 156, si è preoccupato di aumentare il rimborso elettorale, innanzandolo dalle precedenti 800 lire a 1 euro per elettore per ogni anno di durata della legislatura. E, vista la situazione delle casse di Forza Italia, si è affrettato a stabilire che le somme fossero corrisposte in unica soluzione, anzichè frazionate di anno in anno entro il 31 luglio, ossia entro cinque giorni dall’approvazione della legge. La legge 156/2002 ha anche moltiplicato il rimborso per ciascun anno di legislatura (cinque anni), che equivale a quintuplicarlo. E, siccome le nuove norme beneficiano tutti i partiti, dall’opposizione non si è levata una sola parola di protesta, nonostante la prima rata di rimborso delle spese elettorali sostenute per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati fosse già stata erogata l’anno prima secondo la vecchia normativa in vigore. Praticamente una legge retroattiva.

     

    Ci avevano già provato con la proposta di legge n. 5264 presentata il 14 settembre 2004 da Gianfranco Rotondi (Udc, ora Nuova Democrazia Cristiana, ma eletto al Senato nelle liste di Forza Italia), Alberta De Simone (Ds), Eduard Ballaman (Lega nord) e Paola Manzini (Ds), avente ad oggetto «modifiche all’articolo 9-bis della legge 10 dicembre 1993, n. 515, in materia di contributi per le spese elettorali in occasione di elezioni suppletive», che prevedeva proprio la moltiplicazione per cinque anni del rimborso elettorale di un euro a voto per ogni Camera, naturalmente con effetto retroattivo.

     

    In quell’occasione, solamente l’iniziativa del presentatore televisivo Roberto Poletti (all’epoca conduttore della trasmissione Aria pulita, in onda sull’emittente Telecity, ed ora deputato dei Verdi grazie a ben quattro surroghe dei candidati che lo precedevano in lista), fiancheggiato dal quotidiano Il Giorno, ne aveva bloccato l’approvazione.

     

    L’art. 3 della legge, infatti, ha stanziato per i partiti un bel gruzzoletto: 125.328.611,95 euro il 2002, 125.089.621,44 euro per il 2003, e 153.089.621,44 euro annui a decorrere dall’anno 2004.

     

    I nostri cugini transalpini, invece, hanno regolato correttamente il rimborso elettorale con la legge dell’11 marzo 1988, che ha aggiunto al rimborso tradizionale delle spese di campagna da parte dello Stato, anche un rimborso forfettario. Questo era stato fissato nel 1988 al 10% della somma delle spese elettorali. Per compensare gli effetti derivanti dal divieto di finanziamento da parte delle persone morali, la legge del 19 gennaio 1995 ha portato il rimborso al 50 % del tetto. Basterebbe copiare le leggi francesi.

     

    Domani pubblicheremo i dati ufficiali sul finanziamento pubblico ai partiti che hanno partecipato alle elezioni politiche dell'anno scorso.

  2. il mezzogiorno deve cominciare a stare in piedi da solo, quindi benvenga una riforma federale estrema che metta chi ci vive nelle condizioni oggettive per valutare se arrendersi alla mafia quotidianamente sia l'opzione più conveniente per la loro vita.

  3. abbiamo avuto Ciriaco de Mita come Premier e anche Berlusconi è cronicamente incapace di comportarsi in situazioni ufficiali, tanto è vero che all'estero ridono apertamente di lui...non vedo alcun pericolo alla immagine del nostro paese se andasse Di Pietro a rappresentarci.

     

    Il PD è una buonissima idea, purtroppo è il gruppo dirigente che è pessimo, non prenderanno voti.

     

     

    Quanto a Berlusconi, occorre ovviamente lasciarlo governare per 2-3 anni prima di vedere i risultati, il calo o l'incremento dei consensi sarà significativo solo dopo un giusto periodo in cui potrà dimostrare quello che ha fatto e sa fare.

  4. Non votare è una soluzione temporanea, ovviamente, non definitiva. Se il 30-40% degli aventi diritto non vota, il messaggio è molto chiaro...

     

    Comunque confido che la società civile riesca a mettere su una formazione politica che possa sciogliere le grandi questioni che bloccano lo sviluppo del nostro paese.

     

    La questione morale è sicuramente la madre di tutte le questioni.. se non si pone rimedio ad essa le altre non si risolvono.

  5. Io sono uno di quelli che nel 1996 votò l'Ulivo e il giorno che vinse andai in piazza per celebrare la vittoria.

     

    Ovviamente immagino molti sapientoni che nel 2008 sono pronti a dire "fesso che sei stato, non sapevi come sarebbe andata?".

     

    Mi verrebbe da rispondere che loro stessi potevano avere avuto le stesse speranze nel 1994 o anche nel 2001 quando Berlusconi andò al potere (io non votai a quelle elezioni, per il disgusto di quello che era accaduto nel quinquennio).

     

    E' molto semplice stare alla finestra e dire "tanto non cambierà niente" chi prende questa posizione se ha torto si scorda di averla avuta, e se ha ragione punta subito il dito e parla come chi la sa lunga.

     

     

    Mi verrebbe da rispondere che è molto facile guardare al passato oggi e dire "questo è giusto quello è sbagliato". All'epoca si credeva che la sinitra e il centro potessero rimettere in sella l'Italia e farlo diventare quel "paese normale" che era il progetto politico di D'Alema sbandierato ai quattro venti.

     

    5 anni più tardi si credette che Berlusconi, disponendo di una solida maggioranza avrebbe fatto bene

     

    E la Lega? Ho visto su youtube qualche tempo fa Bossi che diceva alla elezioni del 1996 e poi del 2001 che quella "sarebbe stata una legislatura costituente" o altrimenti "si sarebbero prese le armi e/o fatta la secessione". Nessun federalismo, nessuna secessione.

     

     

    Nulla è accaduto.

     

     

    Ai giovani che votano da poco e ai meno giovani che possono dire di aver attraversato questi anni con consapevolezza, credo che la morale di questa storia sia semplicemente quella di votare alle prossime elezioni persone nuove, perchè queste hanno già dato prova di sè.

     

    Non credo che nè da una parte nè da un'altra meritino la nostra fiducia.

     

    Saluti.

  6. Riporto il lungo ma interessante intervento sul libro di Marco Travaglio nel libro "Inciucio", sulle azioni, opere e parole della classe dirigente che ha fondato il Partito Democratico

     

    http://www.marcotravaglio.it/libri/indipendenza.htm

     

    Inciucio racconta diverse storie della sinistra, lumeggiandone i personaggi. D'Alema, ad esempio. Eletto segretario politico del PDS il 1° luglio 1994, all'epoca del primo governo di Berlusconi, alla fine di quell'anno, quando Berlusconi è rovesciato da Bossi, è tra i principali patrocinatori del governo di Lamberto Dini, nato per stemperare i contrasti tra gli avversi schieramenti. Travaglio passa in rassegna le più importanti prese di posizione, oggi dimenticate, di D'Alema nel 1995: il duro attacco del 1° giugno, davanti all'Associazione nazionale costruttori, ai giudici di "Mani Pulite", accusati di interferire nelle decisioni politiche, di criminalizzare pezzi interi di economia, e di ostacolare lo sviluppo; l'accoglienza calorosa, al congresso del PDS di luglio a Roma, fatta a Berlusconi, Letta e Dell'Utri, con quest'ultimo che gli riconosce sensibilità e disponibilità verso il mondo berlusconiano; un nuovo attacco ai giudici in un'intervista poco successiva a La Stampa; l'impegno profuso nel tentare di far sorgere, al momento della crisi del governo Dini, un governo di collaborazione tra l'area moderata della sinistra (PDS e PPI) e l'area moderata della destra (identificata in Forza Italia), per il quale si pensa prima allo stesso Dini (il cosiddetto Dini-bis), e poi ad Antonio Maccanico. Un tale governo è all'epoca indicato come "governissimo", o, da coloro che più ne auspicano la nascita, come "governo di larghe intese". Travaglio ci ricorda, a questo proposito, il lapsus insieme comico ed illuminante, veramente freudiano, di Dini che, in parlamento, rivolto a D'Alema, elogia il comune sforzo di pervenire ad un "governo di larghe imprese". Ci sono, in effetti, le imprese della grande costellazione finanziario-televisivo-pubblicitario-editoriale con le quali Berlusconi ha costruito il suo potere. E ci sono le imprese che Claudio Velardi, imprenditore pubblicitario legato a D'Alema, cerca di collegare in un unico sistema di interessi che abbia il suo referente politico in D'Alema stesso. La più importante è la Montepaschi di Siena, una delle maggiori banche italiane, tradizionalmente guidata da dirigenti orientati a sinistra. Alla costellazione dalemiana si aggregano i Marchini, storici "palazzinari rossi", che promuovono un incontro e un'intesa di D'Alema con Cuccia. Perché mettere a repentaglio gli interessi di queste due costellazioni affaristiche in un reciproco scontro? Meglio, per entrambi, le "larghe imprese". Quando, perciò, fallito il tentativo di Maccanico di formare un governo destra-sinistra, per la contrarietà di Fini su un versante e di Prodi sull'altro, è aperta la strada alla competizione del voto popolare del 21 aprile 1996, D'Alema non si rassegna allo scontro, tanto da recarsi due settimane prima della sfida elettorale tra Berlusconi e Prodi, il 4 aprile 1996, agli studi Mediaset di Cologno Monzese. Travaglio ci ricorda tutti i particolari significativi di quella visita: le profferte di reciproca cooperazione fatte da D'Alema ai dirigenti di Mediaset, le risposte positive date da Fedele Confalonieri ed Emilio Fede, la sua famosa affermazione che "Mediaset è un patrimonio per l'Italia", la sua solenne promessa che "voi [di Mediaset] non dovete temere il giorno dopo la vittoria elettorale della sinistra. Non ci sarà nessun day after". Come documenta Travaglio in lunghe pagine che non è questa la sede per riassumere, non è stato affatto un caso (e come d'altronde avrebbe potuto esserlo?) che, dopo la vittoria elettorale di Prodi del 21 aprile 1996, nei lunghi cinque anni del governo della sinistra (1996-2001), non sia stata varata alcuna legge sul conflitto di interessi (che pure era nel programma dell'Ulivo), non sia stata tolta a Berlusconi una delle sue reti via etere (disattendendo non soltanto un esplicito impegno preelettorale di Prodi, che aveva addirittura detto "questa sarà la prima cosa che faremo una volta al governo", ma addirittura una sentenza pronunciata dalla Corte costituzionale il 7 dicembre 1994), e sia stata agevolata la quotazione in borsa di Mediaset, in modo da liberarla da un drammatico carico debitorio. Tutto questo è avvenuto in attuazione di un patto occulto patrocinato da D'Alema, e avallato da Prodi con la nomina a suo ministro della poste e telecomunicazioni di Maccanico, l'uomo delle "larghe imprese", menando per il naso il popolo di sinistra, convinto dalla propaganda ufficiale dei suoi dirigenti che il voto all'Ulivo servisse alla lotta intransigente contro la destra berlusconiana, addirittura contro il paericolo fascista da essa rappresentato. Qui non siamo d'accordo con Travaglio: il popolo di sinistra non è ingannato abilmente suo malgrado, ma si inganna volontariamente, spengendosi ogni giorno l'intelligenza e la memoria per mantenere un'appartenenza vuota di ideali e rispondente più che altro a bisogni identitari, o narcisisti, o di meschini interessi. Spiace anche come Travaglio ci ricordi, del D'Alema subentrato alla fine del 1998 a Prodi come capo del governo, soltanto il comitato di affari creato da Claudio Velardi, che indusse Guido Rossi a definire argutamente il Palazzo Chigi dalemiano come "una merchant bank dove non si parla inglese". Porcherie, certo. Come quella degli Angelucci, i re delle cliniche romane, che ripianano tutti i debiti del PDS e che, in cambio, sono messi da D'Alema in condizione di impadronirsi del mega-ospedale San Raffaele. O come quella di xxxxx De Bustis, potente dirigente bancario della Montepaschi amicissimo di D'Alema, d'intesa con il quale cerca di incorporare nella Montepaschi la Banca del Salento. Lo scopo è quello di dare alla già consistente Montepaschi liquidità sufficiente per scalare la Banca nazionale del lavoro, creando un potentissimo polo bancario dalemiano. L'operazione fallisce perché De Bustis è travolto dalle inchieste giudiziarie sui prodotti finanziari ad alto rischio spacciati per sicuri ai clienti della Banca del Salento, e portatori invece di rovina per centinaia di faimglie. Un altro polo dalemiano avrebbe dovuto essere la Telecom privatizzata e passata nelle mani di Colaninno e Gnutti, fortemente incoraggiati da D'Alema, ma anche questa operazione fallisce, perché alla fine della Telecom si impadronisce la "Olimpia" di Tronchetti Provera. Affari, affari e ancora affari, spesso sporchi come quelli fatti sugli aiuti in Albania, nei quali sono coinvolti diversi collaboratori di D'Alema, allora indagati dal giudice Michele Emiliano, oggi sindaco di Bari per il centrosinistra. Ancora Guido Rossi disse che nell'entourage dalemiano "entrarono persone con le pezze al cxxx che ne uscirono poi miliardarie". Cose che Travaglio ha fatto bene a ricordare. Ma sarebbe occorso accennare, benché non si tratti del campo di studio di Travaglio, come D'Alema si sia aperto la strada alla guida del governo quale uomo degli americani per coinvolgere l'Italia nella guerra contro la Serbia, e come anche per questo preciso motivo abbia ottenuto il determinante appoggio parlamentare dei transfughi della destra guidati da Cossiga (chi ricorda più che facevano parte della maggioranza di D'Alema e Scognamiglio, suo ministro della difesa, Buttiglione e Cirami, sì, proprio quel Cirami che poi, tornato a destra, darà il nome alla famosa legge berlusconiana?), come, sempre quale uomo degli americani, si sia fatto eversore della Costituzione nei suoi articoli 11 e 78, abbia spudoratamente mentito sul ruolo degli aerei italiani in Serbia, abbia abbandonato Ocalan ai torturatori turchi. Sono queste le vicende che hanno definito per il futuro il profilo politico di D'Alema.

     

     

    Messo da parte Prodi, bruciato D'Alema dalla sconfitta alle elezioni regionali della primavera del 2000, lo sfidante di Berlusconi alle elezioni politiche del 13 maggio 2001 è Rutelli, altro personaggio ben lumeggiato da Travaglio. Francesco Rutelli si è fatto inizialmente strada in politica sulla base praticamente di un solo merito, quello di aver saputo suscitare la predilezione nei suoi confronti di Marco Pannella, che negli anni Ottanta lo ha portato prima, a soli ventisei anni, ad essere eletto segretario del suo partito radicale, poi, quando ha inviato una sua pattiglia a contribuire alla nascita dei cosiddetti Verdi Arcobaleno, ad avere un ruolo di spicco nella nuova formazione. Seguendo la linea di Pannella di quegli anni, Rutelli è stato un antimilitarista integrale, un pacifista e un duro anticlericale. Successivamente, però, nel periodo in cui si è ricomposta la divisione dei Verdi, i Verdi riuniti si sono integrati nella coalizione di centrosinistra, e la coalizione di centrosinistra lo ha candidato sindaco di Roma, egli si è gradualmente smarcato dalla linea pannelliana, abbandonata del resto dallo stesso Pannella, spostatosi a destra. A partire da quando, alla fine del 1993, è stato eletto sindaco di Roma, ed ha avuto l'opportunità di allargare le sue basi di potere con l'appoggio della curia e della finanza vaticane, Rutelli, ci ricorda Travaglio, ha dimenticato completamente il suo anticlericalismo del giorno prima, si è scoperto religioso, arrivando fino, nel 1995, a risposare Barbara Palombelli, civilmente già sua moglie, con rito cattolico concordatario: lui, aspro contestatore, dieci anni prima, del rinnovo del Concordato! Nel 2001 lascia la carica di sindaco di Roma, alla quale era stato rieletto, a Walter Veltroni, per assumere la guida del nuovo partito della Margherita (nato dalla fusione dei popolari con i diniani ed i prodiani), e dell'intera coalizione di centrosinistra, alle elezioni del 13 maggio. Naturalmente, dopo cinque anni di grigissima gestione del potere da parte del centrosinistra, che ha reso attraente nel popolo ignorante l'illusionismo berlusconiano, la destra esce vincitrice dalle elezioni ed il bel Francesco deve contentarsi del ruolo di capo dell'opposizione. Per farne un piedistallo di visibilità e di influenza politiche, lo svolge all'inizio con conclamato rigore, mettendosi in mostra soprattutto come pubblico accusatore delle conculcate libertà radiotelevisive: attacca violentemente il direttore generale della Rai-TV Agostino Saccà per la cacciata dagli schermi, in esecuzione della volontà manifestata da Berlusconi da Sofia, dove è in visita ufficiale, di Biagi, Santoro e Luttazzi (Travaglio ci ricorda, peraltro, come Saccà, amico e protetto di Velardi, consigliere di D'Alema, sia stato imposto come direttore del primo canale televisivo dallo stesso D'Alema quando era capo del governo); successivamente invia un messaggio alle migliaia di manifestanti accorsi all'auditorium di Roma per protestare contro la soppressione del programma di Sabina Guzzanti; successivamente ancora arringa con parole di fuoco la folla raccoltasi davanti al Senato contro la legge Gasparri allora in discussione, e moltiplica le sue denunce del carattere liberticida della gestione berlusconiana della Rai-TV. Da un certo momento in poi, però, nota Travaglio, l'archivio dell'Ansa non riporta più alcuna denuncia di Rutelli contro la Rai-TV berlusconiana, e Berlusconi comincia addirittura a dichiarare ripetutamente di desiderare al vertice dell'azienda radiotelevisiva Barbara Palombelli, la quale, mesi prima, ha tenuto su Sette (la rivista poi ribattezzata Magazine) una rubrica rievocativa del "1993, l'anno del Grande Terrore", dove per "Grande Terrore" ha inteso l'azione giudiziaria contro il gran giro delle tangenti, azione da lei definita "colpo di Stato di una magistratura politicizzata", attraverso una "persecuzione assassina" di politici rei, come Craxi, di "peccati veniali" (sic!). Che cosa è mai successo al bel Francesco?

     

     

    Travaglio racconta come il più intraprendente ed ubiquo tra i paparazzi romani, Umberto Pizzi, abbia fotograficamente carpito un incontro conviviale tra il ministro Gasparri e Rutelli a Palazzo Venezia a Roma, durante il Gran Galà Telethon del 2004, proprio nel periodo in cui si lanciavano pubblicamente feroci accuse reciproche. Nella fotografia di Pizzi, invece, Rutelli e Gasparri siedono sorridenti attorno allo stesso tavolo davanti ad un filetto di manzo al rosmarino e ad un piatto di funghi porcini. L'incontro è a quattro, perché accanto a Gasparri siede giuliva e loquace la Palombelli, moglie di Rutelli, ed accanto a questi siede, con un'espressione più seria, il nuovo direttore generale della Rai-TV succeduto a Saccà, ovvero Flavio Cattaneo. Subito dopo quell'incontro Cattaneo, uomo di Berlusconi, ha sottoscritto con la Palombelli, donna di Rutelli, un contratto d'oro (per la Palombelli, non certo per la Rai-TV): le e' stato chiesto di essere regista e ospite fissa di un nuovo programma di confronto politico, Punto e a capo, condotto da Masotti e Vergara, di fare alcune comparse in Porta a Porta di Vespa, e di curare un programma radiofonico quotidiano, il tutto compensato con la bella sommetta di 300000 euro, oltre che con il sottinteso vantaggio politico che ne avrebbe ricavato il marito. Questi, subito dopo l'allegro e pingue convito, cessa di battersi contro la censura televisiva.

     

     

     

    Ma la responsabilità di aver cacciato tanti personaggi scomodi dal video è soltanto di Berlusconi e dei berluscones? Travaglio chiarisce, per chi non lo sapesse, che un forte potere è nelle mani del presidente della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai-TV, e che per regolamento quella presidenza non può andare ad un appartenente alla maggioranza governativa, ma spetta all'opposizione. Nel quinquennio 1996-2001, in cui ha governato il centrosinistra, infatti, presidente della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai-TV è stato Francesco Storace, designato da Alleanza nazionale, che ha svolto con grintosa efficacia il suo compito, condizionando in modo non irrilevante la gestione televisiva della sinistra. Nel 2001, quindi, con la destra al governo, quella presidenza spetta alla sinistra, e, poiché la Margherita ha già il capo dell'opposizione, spetta specificamente al PDS, di cui è allora segretario il torinese Piero Fassino, terzo personaggio, dopo D'Alema e Rutelli, di cui ora riferiamo gli "inciuci" raccontati da Travaglio.

     

     

     

     

    Nel 2001, all'inizio della nuova legislatura, Fassino è segretario del PDS da appena pochi mesi. Poiché infatti Rutelli aveva lasciato a Veltroni il comune di Roma per diventare capo del centrosinistra, e poiché Veltroni, per diventare sindaco di Roma, aveva dovuto lasciare la segreteria del PDS (in cui era subentrato a D'Alema quando questi, nel 1998, era divenuto capo del governo), la segreteria era rimasta vacante, ed era così andata a Fassino. Benché fresco di nomina, il nuovo segretario si impone subito, appunto, sulla questione della presidenza della commissione di vigilanza della Rai-TV. Il candidato naturale a tale carica è il diessino Antonello Falomi, che nella precedente legislatura ha guidato la delegazione diessina nella commissione, contrapponendosi con vigore all'allora presidente Storace. Fassino però non lo vuole, e pretende che al suo posto vada Claudio Petruccioli. Benché militante continuativo nel partito fin dall'adolescenza, prima nel PCI, poi nel PDS, infine nei DS, Petruccioli vanta un ampio spettro di entrature e legami trasversali: ha, tramite la moglie, una parentele acquisita con gli Agnelli, ha rapporti con il banchiere Luigi Arcuti che gli consentono di contare nell'IMI e nella Banca San Paolo, è legato ad Enrico Mentana, Giuliano Ferrara, Adriano Sofri. Tra i suoi amici più stretti ci sono eminenti personalità di Mediaset, come Gina Nieri e Fedele Confalonieri, con cui si ritrova a cenare insieme diverse volte ogni anno.

     

     

     

     

    La delegazione diessina della commissione, chiamata a scegliere il presidente tra i due candidati, vota però a maggioranza schiacciante Falomi contro Petruccioli. In una democrazia seria, o in un paese normale, auspicato da D'Alema nel libro dall'omonimo titolo pubblicato nel 1995 per la Mondadori di Berlusconi, la partita si sarebbe chiusa con Falomi presidente. Le vicende successivamente accadute, che Travaglio ci racconta, hanno invece dell'incredibile. Fassino pretende che la votazione sia ripetuta, ma da un diverso collegio elettorale. Per scongiurare, evidentemente, una nuova vittoria di Falomi. Voteranno, dice Fassino, soltanto i commissari diessini senatori, e non anche i deputati. Nessuno si ribella all'assurdo di far eleggere il presidente di una commissione bicamerale da un collegio unicamerale. Ma, si sa, il diessino obbedisce all'autorità partitica costituita "perinde ac cadaver", mettendo cervello e cuore in naftalina, secondo l'antica tradizione comunista (la tragedia replicata come farsa, secondo la nota espressione di Marx). Petruccioli, tuttavia, è un uomo che, come sa chiunque vi abbia avuto contatti (a parte tipi come Ferrara, Sofri e Berluscones vari), ispira antipatia. Il nuovo collegio costituito da Fassino, perciò, vota ancora per Falomi. Fassino, e siamo ormai alla farsa democratica, fa ripetere per la terza volta la votazione, con una nuova modifica degli elettori, con lo scorno di vedere per la terza volta Falomi. Chiama allora a votare tutti i senatori diessini, anche quelli non membri della commissione di cui si deve scegliere il presidente, escludendo però i deputati, compresi quelli membri della commissione, e facendo fare pressioni da Angius su questo nuovo collegio. Vince così finalmente Petruccioli, sia pure con un solo voto di scarto.

     

    Quale profilo di Piero Fassino emerge da questa vicenda? In generale, quello di un dirigente certamente più interessato alle entrature in qualche ambiente imprenditorialaffaristico torinese, che Petruccioli gli garantisce, piuttosto che all'etica democratica. Ma, nella situazione specifica, quello di chi, dovendo guidare il partito dall'opposizione, punta tutte le sue carte sulla buona disposizione della maggioranza, chiamata a ricambiare i favori ricevuti, quando era opposizione, dall'opposizione che era allora maggioranza. Solo nei confronti degli elettori si fa la recita, in cui peraltro la pubblica opinione si lascia facilmente coinvolgere, dello scontro all'ultimo sangue della sinistra con la destra.

     

    Petruccioli è davvero l'uomo adatto alla bisogna, come rivelano le sue dichiarazioni, documentate da Travaglio, di stima per Martelli, di rimpianto (sì, proprio rimpianto) per Craxi, di ostilità per la magistratura che pretende di perseguire i reati dei politici. Travaglio documenta anche l'impressionante, pur se coperta, cooperazione da lui prestata alla gestione televisiva del governo Berlusconi. Sono episodi che non conviene riassumere, ma devono essere seguiti sul libro nel loro sviluppo.

     

    Mentre Petruccioli presiede la commissione di vigilanza, deve essere rinnovato il consiglio di amministrazione della Rai-TV, composto, secondo la legge, da cinque membri "di notoria indipendenza di comportamenti", la cui scelta, alla quale governo e partiti debbono rimanere estranei, spetta unicamente ai presidenti delle Camere. Costoro devono anche scegliere come presidente del consiglio di amministrazione della Rai-TV uno dei cinque membri che lo compongono; si conviene che tale presidente spetti all'opposizione, come garanzia rispetto ad una maggioranza di consiglieri scelti, si conviene pure, anche se la legge non lo dice, in omogeneità alla maggioranza esistente in parlamento.

     

    Ancora una volta interviene Fassino per fare, con il livello di rispetto per la legalità già dimostrato, una scelta da cui la legge esplicitamente lo esclude. È lui, infatti, che nel marzo 2003 indica al presidente della Camera Casini il nome di Lucia Annunziata come "presidente di garanzia" del consiglio di amministrazione della Rai-TV, ed è lui che comunica telefonicamente la nomina della stessa Annunziata. Casini la nomina non l'ha ancora ufficialmente fatta, ma Fassino è ufficiosamente certo che la farà, perché Casini, con il suo rispetto della legalità, pari a quello di Fassino, vuole evitare una scelta contraria ai desideri di Berlusconi, e sa che il segretario dei DS vuole la stessa cosa. La "notoria indipendenza di comportamenti" prescritta dalla legge non consiste in altro, per l'Annunziata, che nella disinvoltura con cui è pronta a svolgere qualsiasi ruolo soddisfi la sua ambizione senza principi. Lo rivela la sua carriera di giornalista, da Il Manifesto a Il Riformista passando per Il Foglio. Lo rivela poi, per quattordici mesi, nella sua ridicola veste di "presidente di garanzia" che voterà con i consiglieri della destra sia per cacciare la Guzzanti dagli schermi televisivi, sia per mettere sotto ispezione il Tg3 reo di aver mostrato immagini della contestazione di Berlusconi al tribunale di Milano.

     

    Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, che utilità abbia seguire queste vicende e questi personaggi, e le tante altre vicende e i tanti altri personaggi di cui si parla nel libro. Non si tratta forse di miserie personali in un mondo di politicanti e conduttori mediatici, un mondo rarefatto e parassitario che non serve a capire il mondo reale delle produzioni, delle tecnologie, delle inclusioni ed esclusioni sociali, delle guerre dell'economia?

     

    Il fatto è che dalla descrizione e ricostruzione di questo mondo fatte con il talento di Travaglio emerge un modello antropologico di ceto politico in cui si condensano condizionamenti multipli di molteplici livelli dell'economia e della società. Di questo modello antropologico vanno comprese, al di là del discorso di Travaglio, le radici strutturali inscritte in una determinata fase storica. Per questa via si può arrivare a capire come un certo genere di economia abbia dissolto la politica, e come quindi non esistano più non soltanto conflitti tra progetti politici divergenti, ma neppure progetti politici come tali.

     

    E, comunque, una conoscenza dell'attuale antropologia del ceto politico è utile anche in se stessa, perché immunizza dalla distorsione mentale di "tifare" per la destra o per la sinistra. Quel che gli "inciuci" ricostruiti da Travaglio rivelano, si badi bene, non è che destra e sinistra sono eguali tra loro e che non confliggono, ma che i loro conflitti sono di pura occupazione di poteri disegnati da un'evoluzione sociale (meglio sarebbe dire involuzione e disgregazione) dettata dalla sola economia del profitto, senza alcun diverso progetto di società. Senza volerlo, Travaglio permette di capire che è male votare sia per questa destra che per questa sinistra, la cui alternanza al potere crea l'illusione di un qualche miglioramento sociale ora da parte dell'una, ora da parte dell'altra. Ma non è bene neppure astenersi dal voto, perché il peso politico dell'astensione è zero. La cosa meno peggiore da fare è dare il voto a qualche eccentrico e magari cervellotico simbolo che troviamo sulla scheda elettorale, in modo da contribuire ad un abbassamento percentuale sia della destra che della sinistra. Le cose più importanti da fare, poi, stanno fuori dal campo del giuoco elettorale.

  7. Smith, paragoniamo la politica ad un mercato. Entrare in questo mercato ha delle barriere oggettive. Per fare politica ci vogliono molti soldi, e occorre avere dei mezzi di comunicazione. Inoltre è una attività che richiede il 100% del tempo.

     

     

    Non tutti i cittadini hanno questi mezzi. Però un diritto di critica, credo se lo possano conservare. Ovviamente, e questo l'ho detto in molti post, se il livello di oppressione raggiungesse livelli intollerabili, la gente si ribellerebbe.

     

    Questo livello non è stato ancora raggiunto o almeno non è percepito come tale dalla maggioranza delle persone.

     

     

    Ma spiegare che le cose come stanno adesso non vanno bene, e mandare messaggi perchè le cose migliorino non credo sia sbagliato, è semplicemente un esercizio di democrazia.

  8. Probabilmente pochi, ma non sono sicuro che cosi la domandia sia posta correttamente.

     

    Il tema Berlusconi riguarda l'intreccio tra politica, economia e comunicazione, intreccio che è presente dovunque. Da noi, in Italia, l'intreccio è più evidente, e allora fuori e dentro l'Italia prendiamo bastonate.

     

    Ma in USA, UK e altre democrazie, non è affatto vero che questi interessi non si saldino. Pensa a Cheney e a Bush con il petrolio in Iraq, o i traffici d'armi del figlio di Mitterand. Travaglio una volta raccontò che il direttore della BBC si dimise in seguito alla richiesta di Blair di sospendere un giornalista di quella televisione a seguito di un servizio non gradito dal premier inglese.

     

    E cosi via....in Italia c'è un problema oggettivo, visibile e quindi criticabili molto piu facilmente. Ma qualunque osservatore imparziale sa molto bene che questo intreccio con diversi equilibri è presente ovunque.

     

    Anche nel caso di un post Berlusconi, della distruzione di Mediaset e cosi via....chi pensi che prenderebbe il suo posto? Berlusconi è titolare di concessioni pubbliche se dovessero essere riassegnate lo sarebbero ad opera del governo. E il governo chi sceglierebbe? Un editore neutrale?

     

    La verità è che una situazione del genere non esisterà probabilmente mai....

  9. mah io mi ricordo bene di giornalisti americani allontanati dal loro lavoro perchè sgraditi alla Casa Bianca dopo i fatti dell' 11/9.....

     

    in Italia a mio parere c'è liberta di espressione. Il dibattito anti berlusconiano ha spazi importanti da 15 anni, nonostante lui usi le sue televisioni per i suoi fini personali. La verità per chi vuole conoscerla è a disposizione, non seguo molti connazionali in un atteggiamento assolutista nel dire che l'Italia non è un paese libero.

     

    E' un paese governato male, ma questo avviene perchè la gente, nonostante quello che sa, continua a votare Berlusconi e dall'altra parte l'alternativa è forse peggio.

  10. Non ho mai capito che relazione ci sia tra un paese e l'opinione espressa da qualche suo giornalista. In italia ci sono decine di giornali, dove viene scritto tutto e il contrario di tutto, ma nessuno di questi può essere considerato rappresentante ufficiale dell'opinione dei suoi cittadini. Allo stesso modo, se il John Wayne Telegraph scrive che gli italiani puzzano non mi sembra il caso di prendersela con lo yankeeshire e ricordare che loro puzzano di più. Anche se è vero.

     

     

    In tema di politica internazionale i grandi giornali di un paese, almeno per le grandi questioni, sono abbastanza uniformi nelle loro opinioni. I giornali americani ed inglesi hanno un atteggiamento molto arrogante verso i paesi meditarrenei e latino americani. E' stata ed è una denigrazione continua dei loro sistemi democratici, e degli scandali che scoppiano.

     

     

    Non vedo altrettanta precisione nel parlare delle loro beghe: per esempio gli Stati Uniti stanziano ufficialmente ogni hanno milioni di dollari per "incoraggiare un cambio di regime a Cuba", che fino a prova contraria è uno stato sovrano, riconosciuto dall'ONU e che ha una politica estera pacifica da decenni.

     

    Hanno anche finanziato nel 2002 il golpe per buttare giù Hugo Chavez, eletto regolarmente presidente in Venezuela secondo elezioni certificate da osservatori internazionali neutrali.

     

    Durate la guerra in Nicaragua minarono la zona di mare subito oltre il mare territoriale di quello stato per impedire al Nicaragua il commercio, dal momento che a Managua c'erano i sandinisti che a loro non piacevano.

     

     

    Questo è puro terrorismo, e sicuramente una vergogna maggiore, di quella che possiamo avere noi con Berlusconi.

     

    La loro stampa non affronta con la necessaria durezza ed onestà intellettuale questi temi. La loro opinione pubblica non premia candidati (fino ad oggi) che mostrino sensibilità su questi temi. Contrariamente a molti, non credo che la stampa inglese ed americana abbiano da vantare alcuna superiorità rispetto a quella italiana.

     

    Sono anche loro al servizio del potere.

  11. Che confusione.

    Brasileiro bisogna decidere da che parte stare.

    Sei critico quando c'è una fuga di notizie dalle procure, pratica non proprio ortodossa e poi dici che non si hanno le prove. Se tutto quello che ci arriva viene depurato e censuratO dove pensi di prendere le prove?

     

    Per quanto riguarda la polemica sugli omosessuali la Carfagna afferma che "non c'è nessuna ragione per la quale lo Stato debba riconoscere le coppie omosessuali, visto che costituzionalmente sono sterili e che per volersi bene il requisito fondamentale è poter procreare".

    Con questa dichiarazione la Carfagna ha suscitato lo sdegno oltre che delle coppie omosessuali anche delle coppie etero sessuali sterili.

    Anche quest'ultime sono costituzionalmente sterili e quindi non vanno riconosciute.

    E dal Ministro abbiamo appreso anche un'altra cosa: per volersi bene è requisito fondamentale poter procreare.

    La Carfagna all'epoca si difese dicendo che le sue parole citavano quelle prof. Francesco D'Agostino il quale affermava che le coppie omosessuali sono costitutivamente sterili.

    Tutto ciò dimostra che non ha idee proprie e ripete come un pappagallo non comprendendo il senso di quello che si dice.

    Bhe scusa tanto da un ministro della Repubblica mi aspetto un pochino di più.

     

    Abbiamo avuto di peggio o comunque non di meglio della Carfagna non porta da nessuna parte. In questo modo nessuno è criticabile. Non puoi criticare un attore, un calciatore, un musicista neanche chi scrive, visto che c'è di peggio.

     

    Hellas dice: " Berlusconi non credo sia così stupido da assegnare un ministero ad una donna totalmente incapace solo perchè gli ha fatto un pom pom"

    Non si tratta di stupidità, si tratta di arroganza o qualcosa tipo delirio di onnipotenza: posso fare tutto quello che voglio perchè sono io.

    Per concludere volete farmi credere che diventare ministro dopo soli 4 anni di attività politica è una cosa normale?

    Certo che a volte la mente umana è proprio strana.

     

    Per chi crede, il Messia è morto più di duemila anni fa.

    E' MORTO!!!

     

    Ti ringrazio per a premura, ma non ho bisogno del tuo sollecito per decidere da che parte stare.

     

    In situazioni come queste La cosa peggiore è sentirsi allo stadio prendendo una parte a priori senza provare a farsi una idea di ragioni e torti.

     

    La supposta telefonata ancora non pubblica (stiamo parlando di voci) non prova nulla sulla presunta idoneità del ministro a fare il suo lavoro. Il resto sono solo gossip della peggiore specie.

     

    E poi perchè,ripeto, nessuno di voi se la prende con Napolitano? Oltre al caso Previti ci sono stati tanti altri casi (documentati dalla cronaca politica) di Ministri cambiati a seguito di consultazioni informali con il Capo dello Stato. Quello di Previti è il caso piu importante, perchè fu ufficiale il rifiuto di Scalfaro. Ma se la Carfagna è cosi inadatta e ha avuto il posto per i suoi favori sessuali come dite voi, io punterei il dito contro Napolitano, che non ha impedito, pur avendone i poteri, che si consumasse questa " vergogna".

     

    Quanto alle cose che ha detto sugli omosessuali, molte sono state (volutamente) travisate.

     

    Il fatto che parli citando altre persone......lo fanno tutti, purtroppo.

     

     

    Mi sembra un accanimento senza senso, quello verso Mara Carfagna fino ad adesso e un po' ipocrita, moralista e bacchettone.

  12. Cosa pensi di Chavez? Io ho un'amica venezuelana che ne parla malissimo.... ma io non lo trovo affatto peggiore dei precedenti presidenti... tutt'altro....forse un po' folkloristico.....

    Quanto a Lula.... per me è un finto progressista

    Su Chavez..

    Bene per alcune cose, male per altre.

     

    La "dottrina bolivariana" può essere una risposta ma il problema è avere una squadra di persone preparata per risolvere i problemi quotidiani, e questa Chavez non ce l'ha.

     

    L'inflazione è al 30% c'e' ancora il cambio ufficiale ed illegale, la criminalità non accenna a scendere: e dire che sono 10 anni che è al potere, quindi il tempo l'ha avuto.

     

    Chi ne parla "malissimo" non sa o non è informato della storia del Venezuela, oppure semplicemente fa parte di quello strato della società che storicamente ha considerato il proprio paese un feudo.

     

    Sicuramente in Venezuela l'alternativa a Chavez è peggiore di Chavez, perlomeno per i venezuelani.

     

    Ciao

  13. Vieri in Italia abbiamo i nostri problemi e non ne neghiamo la portata, ma altrove.....ce ne sono anche di piu vergognosi.

     

    in Svizzera...sai quanto denaro sporco riciclato gira? Il segreto bancario svizzero impedisce tutt'ora ai PM Italiani di accertare la provenienza di ingenti finanziamenti alla Fininvest nel periodo 76-78....per non parlare di tutto il resto.

     

    In America hanno votato un criminale nel 2000, lo hanno riconfermato nel 2004.

     

    In Inghilterra hanno tenuto per 10 anni uno che non ha esitato ad andare dietro agli USA, e che ha falsificato prove per fare una guerra dove sono morti migliaia di innocenti.

     

     

    E Svizzera, America e Regno Unito puntano il dito contro di noi tramite i loro giornali?

     

    :)

     

    Rido per rispettare le regole del forum, ma la reazione sarebbe in stile Sabina Guzzanti...di qualche giorno fa. Cosa puo' essere il problema che abbiamo noi con Silvio a confronto di quelli che hanno creato USA e UK con la loro politica estera criminale negli ultimi anni? C'è piu vergogna in un popolo ed in uno stato che mostra in modo anche troppo evidente i suoi problemi e i suoi errori, o uno in cui si finge ipocritamente di avere sempre ragione, e di commettere atti criminali come se fosse la cosa piu innocente del mondo?

  14. La Guzzanti è un comico, e ha fatto della satira.. pesante ma satira.

    Se mai si arrivasse ad un processo la Carfagna perderà.

    Addirittura Luttazzi venne assolto per la famosa intervista a Travaglio del 2001.

    Per fortuna fare satira non è ancora reato.

    totalmente diverso.

    Luttazzi e Travaglio vennero assolti perchè nel corso di quella intervista citarono dei fatti, rigorosi fatti, documentati e agli atti. Qui non c'è nessun fatto citato c'è solo una accusa non documentata.

  15. Little, la satira è una categoria di espressione, ma non soggiace ad una regolamentazione diversa da quella di una normale espressione di pensiero.

     

    Per inciso, se io dico a Mara Carfagna che è ministro perchè l'ha data a Berlusconi lei mi puo' querelare per calunnia. E io devo provare che quello che dico è vero sennò perdo.

     

    Sabina Guzzanti, facendo la satira, non guadagna alcun diritto a calunniare (se calunnia è) e viene giudicata per quello che ha detto, satira o non satira.

     

    Altrimenti arriveremmo alla conclusione paradossale che chi fa satira debba avere un trattamento diverso da una persona normale in materia di calunnia, in una manifestazione fatta per protestare contro chi vuole essere più uguale degli altri in materia di giustizia!

     

    ciao

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