Lottatore Inviato: 27 Agosto 2002 Segnala Share Inviato: 27 Agosto 2002 LE BASI DELLA TERAPIE GENICA Che cos’è la terapia genica? Per terapia genica si intende il trasferimento di materiale genetico allo scopo di prevenire o curare una malattia. Nel caso delle malattie genetiche, in cui un gene è difettoso o assente, la terapia genica consiste essenzialmente nel trasferire la versione funzionante del gene nell’organismo dell’ospite, in modo da rimediare al difetto. Si tratta di un idea molto semplice, ma come vedremo la sua realizzazione pratica è un vero e proprio percorso ad ostacoli. La terapia genica è una scienza giovane: il primo tentativo fu effettuato negli Stati Uniti da Michael Blaese nel 1990 su una bambina affetta da SCID, una grave immunodeficienza ereditaria. Da allora, nonostante gli indubbi progressi raggiunti, sono ancora pochissimi i tentativi di terapia genica per i quali si possa parlare di un successo dal punto di vista clinico. Il successo della terapia genica rimane una prospettiva – sicuramente fondata - per il prossimo futuro. Ad oggi, le numerose sperimentazioni in corso in tutto il mondo hanno soprattutto lo scopo di migliorare le conoscenze biologiche di base e le metodiche di terapia genica perché possa finalmente diventare uno strumento efficace nelle mani dei medici. La terapia genica è la stessa per tutte le malattie? Non necessariamente. Anche se tutti i protocolli di terapia genica si basano essenzialmente sugli stessi principi ed utilizzano metodiche simili, ogni malattia – oltre che l’isolamento del gene o dei geni specifici- richiede spesso anche la messa a punto di una metodica differente. Molto spesso è il bersaglio ad essere differente: ad esempio, i tentativi di terapia genica per curare la fibrosi cistica hanno come principale bersaglio le cellule delle vie aeree, mentre quelli per le immunodeficienze mirano a trasferire il gene nelle cellule del sangue. E’ evidente che ognuna di queste malattie, oltre che i problemi comuni a tutte le tecniche di terapia genica, pone delle sfide tecniche peculiari. In vivo o ex-vivo Questi termini indicano qual è il bersaglio del trasferimento genico. La procedure di terapia genica in vivo mirano a trasferire il DNA direttamente nelle cellule o nei tessuti del paziente. Nelle procedure ex-vivo , invece, il DNA viene dapprima trasferito in cellule isolate dall’organismo e cresciute in laboratorio. Le cellule così modificate possono essere introdotte nel paziente. Questa procedura indiretta, anche se più lunga, offre il vantaggio di una migliore efficienza di trasferimento e la possibilità di selezionare e amplificare le cellule modificate prima della reitroduzione. Prima tappa: l’isolamento del gene Un gene è una porzione di DNA che contiene le informazioni necessarie a fabbricare una proteina. Trasferire un gene significa quindi trasferire un pezzo particolare di DNA. Prima però è necessario "avere in mano" il pezzo giusto. Le malattie genetiche conosciute sono circa 5000, ognuna causata da una diversa alterazione genetica. La prima tappa verso la terapia genica è quindi quella di identificare il gene responsabile della malattia. In seguito, tramite le tecniche di biologia molecolare è possibile ottenere un pezzo di DNA che contiene questo gene. Questa prima tappa si chiama isolamento o clonaggio del gene. Nessuna malattia è candidata alla terapia genica fino a che non sia stato isolato il gene (o i geni) da trasferire. Grazie ai progressi della biologia molecolare e della genetica questa prima tappa è oggi relativamente più semplice rispetto a qualche anno fa. E’ stato possibile isolare numerosi geni responsabili di malattie genetiche, ed altri se ne scoprono quasi ogni settimana. Come si trasferisce il DNA nelle cellule bersaglio? Che si tratti di procedure in-vivo o ex-vivo lo scopo è lo stesso: il gene deve essere trasferito all’interno delle cellule bersaglio, e una volta inserito deve "resistere" per un tempo sufficiente. In questo tempo il gene deve poter produrre sufficienti quantità di proteina, rimediando così al difetto genetico. Si possono riassumere tutte queste caratteristiche in un solo concetto: il gene estraneo si deve esprimere in modo efficace nell’organismo ospite. Il sistema più semplice sarebbe naturalmente quello di iniettare direttamente il DNA (DNA "nudo") nelle cellule o nei tessuti da curare. Nella pratica questo sistema risulta estremamente inefficace: il DNA nudo viene captato molto difficilmente dalle cellule. Inoltre questo processo richiede l’iniezione di ogni singola cellula o gruppo di cellule del paziente. Per questo quasi tutte le tecniche correnti per il trasferimento del materiale genetico implicano l’uso di vettori, in grado di trasportare il DNA all’interno delle cellule "bersaglio" dell’ospite. I vettori virali I vettori virali sono virus manipolati geneticamente in modo da non risultare pericolosi, ma ancora in grado di infettare le cellule dell’ospite. Con le tecniche di ingegneria genetica è possibile aggiungere al DNA del virus il gene che si vuole trasferire. Così il virus, infettando la cellula bersaglio, porterà con sé una o più copie del gene desiderato. I retrovirus hanno per loro natura la capacità di integrare il loro DNA all’interno dei cromosomi delle cellule bersaglio. Quindi, il gene verrà inserito stabilmente nei cromosomi della cellule infettata e potrà essere trasmesso a tutte le cellule figlie. Infettano solo cellule che stanno proliferando. I lentivirus, come l'HIV, permettono di trasferire materiale genetico anche in cellule che non proliferano, come le cellule "mature" (es. neuroni, cellule del fegato ) o in cellule particolarmente refrattarie ai retrovirus (es.cellule staminali prelevate del midollo osseo). I virus adenoassociati integrano anch’essi il loro DNA nei cromosomi della cellula ospite. Hanno il vantaggio di essere per natura innocui rispetto ai retrovirus, ma difficilmente trasportano geni di grandi dimensioni. Gli adenovirus non si integrano nei cromosomi della cellula ospite. Possono trasportare geni di grosse dimensioni, ma la loro espressione non dura nel tempo. I vettori non virali I liposomi sono essenzialmente gli unici vettori non virali correntemente utilizzati. Si tratta di sferette lipidiche che possono racchiudere il DNA da trasferire. Rispetto ai virus, hanno il vantaggio di non presentare alcun rischio in termini di sicurezza, ma tendono ad avere un efficienza minore e ad essere poco selettivi. I limiti della terapia genica Ecco i principali "guai" di fronte ai quali si trovano oggi i ricercatori che si occupano di terapia genica: L’efficienza di trasferimento Un esperto di terapia genica una volta ha affermato: "La terapia genica soffre di tre problemi tecnici principali: il trasferimento, il trasferimento, e …il trasferimento". Negli studi sulla terapia genica, la maggior parte degli sforzi si concentra oggi sulla ricerca di vettori in grado di trasferire il DNA in modo efficiente, e soprattutto nel tipo di cellule desiderato. In questi ultimi anni sono stati messi a punto una varietà di vettori, alcuni dei quali in grado di fare esprimere il gene estraneo in uno specifico tipo cellulare (come i globuli bianchi, le cellule del muscolo, delle vie respiratorie etc… . Alcuni di questi sono in via di sperimentazione sull’uomo e la speranza è che possano dare buoni risultati. La durata dell’espressione La terapia genica risulta praticamente inutile se l’espressione del gene "estraneo" non viene mantenuta per un tempo sufficiente. Le ricerche mirano a sviluppare sistemi che permettono un espressione duratura, in modo da sottoporre il paziente ad un unico trattamento, o al limite a trattamenti ripetuti a distanza di qualche anno. La sicurezza della procedura Questo è un problema particolarmente evidente per i vettori virali. Alcuni di questi derivano infatti da virus pericolosi, come l’HIV. E’ quindi necessario che prima dell’utilizzo questi vettori rispondano a criteri di sicurezza, e in particolare siano privati di ogni gene che possa determinare la virulenza originaria del virus pur rimanendo in grado di infettare le cellule bersaglio. La reazione immunitaria Come ogni altra sostanza estranea, il prodotto del gene nuovo, il gene stesso e soprattutto il vettore possono scatenare una risposta immunitaria da parte dell’organismo ospite. Questa può portare all’eliminazione delle cellule modificate geneticamente, o all’inattivazione della proteina prodotta dal nuovo gene. Nello sviluppo delle nuove strategie di terapia genica si cerca di evitare per quanto possibile che il vettore o il gene estraneo producano una reazione immunitaria. Si tratta di un lavoro difficile e spesso empirico, ma che si avvale sempre più delle nuove scoperte nel campo dell’immunologia. La sperimentazione della terapia genica La situazione attuale In tutto il mondo, i protocolli di sperimentazione sull’uomo (trials clinici) riguardanti la terapia genica sono circa 400. E’ importante notare che più del 90% di questi trials sono in fasi molto precoci ( fase I o II) della sperimentazione (Vedi la figura1). Anche se, naturalmente, in ogni fase della sperimentazione la speranza è quella di osservare un miglioramento clinico del malato, le prime fasi hanno un obbiettivo molto più modesto, anche se necessario. Le fasi I e II servono infatti a valutare l’eventuale tossicità del trattamento, l’efficacia del trasferimento genico e l’espressione a breve/medio termine. E’ nelle fasi successive (dalla III) che si valuta invece in modo più approfondito la reale efficacia del trattamento. Possiamo dire, quindi, che per quanto riguarda le applicazioni cliniche la terapia genica muove i primi passi. La speranza è che un numero sempre maggiore di questi trials possa raggiungere con successo le fasi successive della sperimentazione. Quali malattie sono il bersaglio della terapia genica? Anche se all’inizio la terapia genica fu pensata come rimedio alle malattie ereditarie, oggi si può notare che oggi le malattie monogeniche costituiscono solo una parte delle patologie oggetto di sperimentazione clinica (Vedi la figura 2). La maggior parte dei trial clinici riguardano infatti i tumori e l’AIDS. Anche in queste malattie, infatti, sebbene per ragioni diverse a quelle viste finora, il trasferimento genico costituisce una via terapeutica promettente. Di tutti i trial clinici in corso, le malattie monogeniche sono rappresentate per il 15% circa. Quali sono i risultati concreti della terapia genica? A dispetto dell’entusiasmo per la terapia genica e ferme restando le indubbie potenzialità di questa tecniche, si può affermare che, ad eccezione della SCID (vedi sotto) nessun malato affetto da malattie genetiche è stato finora guarito grazie alla terapia genica. Gli unici indubitabili successi della terapia genica riguardano la SCID , una grave immunodeficienza ereditaria, in cui gli esperimenti effettuati in diversi laboratori (fra cui quello di Alain Fisher a Parigi e di Claudio Bordignon, del TIGET), hanno permesso di guarire un ristretto numero di bambini affetti. Può sembrare una constatazione deludente, soprattutto se si pensa agli enormi sforzi di ricerca nel campo della terapia genica, ma come si è visto queste nuovissime tecniche pongono delle sfide tecniche eccezionali. E’ verosimile che le numerose ricerche e sperimentazioni in corso porteranno nei prossimi anni ai risultati terapeutici sperati. Dove si trovano informazioni sui trials clinici in corso? Una lista di trials sulle terapia genica si trova (in inglese) su: Wiley Genetic Medicine On-line ( http://www.wiley.co.uk/genetherapy/ ) LINKS Institute for Human Gene Therapy ( http://www.uphs.upenn.edu/ihgt/ ) University of Pennsylvania ( http://www.asgt.org/ ) American Society of Gene Therapy ( http://www.asgt.org/ ) European Society of Gene Therapy ( http://www.cbt.ki.se/ESGT/ ) Vanderbilt General Clinic Research Center ( http://www.cbt.ki.se/ESGT/HomePage/MainPage.html ) Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
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